La Quaresima è il periodo di 40 giorni che precede la celebrazione della Pasqua. E’ uno dei tempi “forti”che la Chiesa cattolica celebra lungo l’anno liturgico, un tempo favorevole per la conversione, finalizzato ad un profondo rinnovamento spirituale in preparazione della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo.
C’è da notare che il numero 40 è un numero ricorrente nella Bibbia: 40 giorni cadde la pioggia sulla terra durante il diluvio universale, 40 anni trascorsero gli Ebrei nel deserto, 40 giorni digiunò Cristo, 40 giorni intercorrono tra Natale e Candelora, 40 giorni tra Pasqua e Ascensione.
Ma nella tradizione popolare come veniva vissuto questo periodo? La Chiesa designava la Quaresima come un momento di penitenza e raccomandava l’ astinenza dalla carne, il digiuno e l’elemosina; in realtà, l’astinenza dalla carne favoriva una situazione generale già esistente di povertà , santificando le pene, che già c’erano, contrastando gli eccessi e i bagordi dei ricchi e accentuando la situazione già precaria dei poveri.
Nella tradizione popolare ( Carlo Lapucci Significato e tradizioni della Quaresima) la Quaresima era per molti il tempo peggiore dell’anno: il freddo, combattuto con il focolare e con i bracieri, si inaspriva in questo periodo, mettendo il fisico a dura prova; tra l’altro era proibito cantare e ballare, i coniugi non potevano avere rapporti sessuali, le provviste alimentari quali grano,vino ecc cominciavano a scarseggiare; era questo, inoltre, il periodo in cui, di solito, i contadini aumentavano i debiti con il padrone.
Le galline non potevano essere mangiate per non distruggere la possibilità delle covate primaverili, anche i conigli venivano lasciati per la riproduzione, le uova venivano messe da parte per le pastiere di Pasqua e poiché le carni erano bandite dalla tavola, regnava incontrastato il pesce ed era d’obbligo “mangiar di magro”. Nei paesi come il nostro non c’era problema per reperirlo. Se i pesci, però, erano scarsi, bisognava accontentarsi di quelli che arrivavano dal Nord Europa, secchi affumicati o sotto sale, come lo stoccafisso, il baccalà, l’aringa, economici e a buon mercato.
Il vero companatico della povera gente era l’umilissima aringa affumicata o saracca, arida e secca ma forte di sapore e di odore, che a volte veniva solo strofinata sul pane per fargli prendere l’odore e il sapore e per farla durare così più a lungo e per tutta la famiglia.
A proposito di aringa, nel Napoletano ed anche a Mondragone c’è un detto, che recita “Chiglio tene a saraca a sacca” e con esso ci si riferisce a chi si mostra impaziente e frettoloso di andar via, alla stregua di chi abbia in tasca un’aringa maleodorante e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna, insomma come chi ha fretta di andarsene perché nasconde qualcosa.
Ma mentre le rinseccate aringhe simboleggiano bene il rigore della Quaresima, nel cucinare lo stoccafisso e il baccalà possiamo dire che si fece di necessità virtù perché ancora oggi molte delle ricette realizzate con questi pesci , nate per la Quaresima, sono diventate preparazioni tradizionali di grande bontà, che possono gareggiare con le migliori pietanze, specie se cucinate ispirandosi alle ricette dei monasteri e dei conventi, dove si preparavano vere prelibatezze. Insomma, si può ben dire che il buon senso e l’arte di arrangiarsi hanno vinto sui divieti imposti dall’alto.
Oggi tutte queste restrizioni sono state spazzate via dalla cultura globale. Anche per chi è osservante dei precetti religiosi l’obbligo di non mangiare la carne è riferito solo al Mercoledì delle Ceneri e al Venerdì Santo.
I canti e la poesia medievali dettero una rappresentazione fantastica della Quaresima come una vecchia secca, stracciata, scarmigliata, parente stretta della Befana; non è difficile vedere che sono in fondo la stessa figura.
La Befana rappresenta l’anno vecchio che muore, la Quaresima rappresenta la vecchia stagione che morendo lascia il posto alla nuova.
La Quaresima era anche considerata, nella tradizione popolare, la moglie di Carnevale, la cui morte la costringeva al lutto e alle svariate privazioni.
Mentre il Carnevale veniva raffigurato come un omaccione ingordo e gaudente, la Quaresima, al contrario, veniva vista come una vecchia magra e sdentata, vestita di nero.
Una vecchia cantilena diceva: “Quaraesima secca secca mangia pane e ficusecche, cu na scella de baccalà Quaraesima po’ scialà”.
E siccome, in fondo, nel Carnevale si identificavano gli uomini, in genere, e nella Quaresima le donne, ancora oggi, nel nostro paese, nel giorno di Carnevale, ci si può rivolgere in tono scherzoso ad un uomo , dicendo : - Oggi è carnevale, è la tua festa, auguri! E questi, rispondere, di rimando: - Allora domani inizia la Quaresima e sarà la tua festa, sarò io a farti gli auguri!
Qui, a Mondragone, la Quaresima era raffigurata come una bambola di pezza, vestita di nero, sospesa in aria, legata ad un filo teso da una parte all’altra della strada. Quasi in ogni rione ce n’era una. Era quasi come una figura ammonitrice che incombeva, quasi come se dall’alto controllasse il rispetto delle prescrizioni penitenziali.
Ai bordi del vestito venivano appesi un pezzo di baccalà, fichi secchi, lupini, vino ecc. tutto ciò che si poteva mangiare in Quaresima, era probabilmente anche un modo per ricordarlo a tutti.
Sotto la gonna, il fantoccio portava una patata o un’arancia in cui erano infilate sette penne di gallina, che simboleggiavano le sette settimane che separano dalla Pasqua. Allo scadere di ogni settimana si toglieva una penna e non è difficile immaginare con quanta impazienza si attendeva che l’ultima penna venisse tolta per mettere fine alla penitenza.
Al sopraggiungere della Settimana Santa l’arancia veniva completamente spennata e il fantoccio veniva tolto il Sabato Santo, e con esso avveniva la fine dei divieti, con gran sollievo di tutti.