LA CANZONE DI ZEZA era una farsa carnevalesca che veniva rappresentata a Napoli e in tutta la Campania nel periodo di Carnevale, a Mondragone tale tradizione si è protratta fino agli anni ’50.
La Canzone, in breve, racconta la storia d’amore tra la figlia di Pulcinella, Vicenzella , e don Nicola, studente calabrese, amore ostacolato dal padre, che teme di essere disonorato. Pulcinella raccomanda alla moglie Zeza di tener chiusa la figlia e di non farla praticare con nessuno mentre quest’ultima è di ben altro avviso, in quanto intende far divertire la figlia “cu cient nnammurat, cu prieut, signur e cu li surdat”. Pulcinella, poi, racconta che tornando a casa, ha trovato don Nicola nascosto sotto al letto , Zeza risponde che si è sbagliato , che si trattava di don Fabrizio, il padrone di casa, che voleva l’affitto del mese passato. La farsa prosegue tra battute spassose e colpi di scena . Nella scena finale Pulcinella reagisce violentemente, cercando di colpire la moglie, la figlia e il pretendente ma viene vinto e immobilizzato da don Nicola e alla fine acconsente, anche se malvolentieri, alle nozze.
A Mondragone la “pazzia” , così veniva chiamata la rappresentazione, si preparava in casa di Giovanni D’Annolfo, abitazione che si trova tuttora in via Elena, nel portone di fronte a via Crocifisso, una traversa della suddetta strada. Era là che da un mese prima si cominciava a “concertare”, cioè a preparare la scenetta. I personaggi erano quattro: la mamma, il padre, la figlia e il prete( don Nicola era vestito da prete perché in passato molti giovani, provenendo da famiglie povere, non si potevano permettere gli studi ed entravano in seminario per studiare ma poi non tutti diventavano preti). Le parti femminili erano interpretate da uomini perché le donne non potevano essere esposte alla pubblica rappresentazione. La mamma era impersonata da Giovanni D’Annolfo, la figlia da Peppe Ciomma, il padre da Antimo Queleroso , il prete da Nicola D’Annolfo,( fratello di Giovanni); la famiglia di quest’ultimo poi fu soprannominata “Zeza Zeza”. Da lì partiva il corteo che si dirigeva verso la piazza, dove si faceva la prima rappresentazione , davanti al negozio di generi alimentari di Attilio Martino; il corteo girava , poi, per tutto il paese e la rappresentazione veniva ripetuta nelle strade più importanti. Nicola, il figlio di Giovanni D’Annolfo,( detto Nicola ru scarpar, collaboratore scolastico per tanti anni nella scuola elementare, al plesso Incaldana di via Elena) seguiva il corteo con l’asino con la sporta, dove metteva le offerte: qualche bottiglia divino o altri generi alimentari che la gente offriva.
La ZEZA vide probabilmente la luce a Napoli nella seconda metà del ‘600, al tempo in cui Pulcinella nei disegni di Callot (disegnatore francese) era associato alla moglie Lucrezia (personaggio della commedia dell’arte), di cui Zeza era il diminutivo. Da Napoli si diffuse nelle campagne circostanti con caratteri sempre più diversificati negli altri territori del Regno di Napoli. Fino alla prima metà dell’ ‘800 la ZEZA si rappresentava nei cortili dei palazzi, nelle strade, nelle osterie , nelle piazze, senza palco, ad opera di popolani, attori occasionali mentre a Napoli già nel secondo ‘800 assunse i caratteri di spettacolo teatrale nei teatri frequentati dalla plebe, dove il pubblico interloquiva con gli attori nel corso della rappresentazione con “sfrenatezze di gergo e di gesti”. Questo tipo di divertimento terminò già verso la fine dell’ ’800 perché proibito dalla polizia per le mordaci allusioni e i detti troppo licenziosi e osceni.
La ZEZA fu studiata con attenzione da filosofi, musicologi e antropologi a partire da Gian Battista Basile, che ne parlò per primo nel ’600, a Benedetto Croce, a Pier Paolo Pasolini,a Roberto De Simone.
Essa rappresentava, nel teatro popolare, il conflitto sempre attuale tra vecchi e giovani nonché l’atteggiamento di ribellione dei figli all’autorità paterna, la vittoria dei giovani e la risoluzione del conflitto nel matrimonio con la conseguente ricomposizione dell’equilibrio familiare.
Il teatro del Carnevale in tal modo metteva a nudo e rappresentava in chiave grottesca scene di vita familiare caratterizzate da notevole conflittualità e violenza.
L’ appellativo ZEZA si usa ancora oggi per indicare una donna sguaiata e di facili costumi.
Del testo mondragonese della ZEZA si è persa completamente la memoria ma è possibile ascoltare la versione della Nuova Compagnia di Canto popolare, così come veniva cantata a Napoli.
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