Un giovane, che apparteneva ad una famiglia piuttosto povera, era sempre scontento di quello che aveva e che i suoi gli mettevano a disposizione e imprecava spesso contro la sorte che non lo aveva fatto nascere ricco.
Nella civiltà contadina solitamente tutto si imputava alla sorte o fortuna, “la ciorta”, come veniva chiamata: le malattie, la povertà, le disgrazie ecc e questo comportava un atteggiamento diffuso di rassegnazione e di vittimismo.
Un giorno mentre camminava in mezzo alla fiera ( la fiera di San Bartolomeo) che un tempo si svolgeva a Corso Umberto ossia “mmiez a ru Gigli(o), vide la bancarella del “torronaro” che non mancava mai per l’occasione e gli venne voglia di comprare qualcosa ma aveva solo un soldo cioè 5 centesimi e per comprare il torrone ci volevano almeno 2 soldi . Allora si accontentò di comprare un cartoccio di lupini e se li andava mangiando, camminando senza fretta, gettando le bucce all’indietro e borbottando contro la malasorte e diceva: - Gl’ati se mangiano lu turron e io m’aggia accuntentà de ri lupin! Girandosi si accorse che un ragazzo dietro di lui raccoglieva le bucce e le mangiava, tutto contento. Riflettendoci, pensò: - Uh, Maronn, e ij che me lamentav de ri lupin, stu vuaglion se mangia le scorz e è pur cuntient! Nun me aggia lamentà cchiù, anz voglio ringrazia ru Patatern pe chell che me ra! Se ricie buon 'Nu chiagn trist che ven peggio!
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