RU SETACCI(O) DA CUMMAR
Un marito e una moglie andarono a lavorare in campagna. Ad una certa ora la moglie disse: - Aggia ij’ nu poc a cas pcché comma Maria ma ritt che se vulev fa prestà nu poc ru setacci(o), nun s’avessa piglià coller, se po crer ch io nun ce ru voglio ra! – No, va’ va’, nun te preoccupà! Rispose il marito. Il giorno dopo alla stessa ora si ricordò di un’altra comare che le aveva chiesto il setaccio: - Vac e veng- disse al marito. Ogni giorno si ripeteva la stessa storia per cui il marito si insospettì e decise di seguirla. La moglie andò a casa, tagliò sette fette di pane abbondanti, le sistemò a strati in una zuppiera, irrorandole con del buon brodo caldo e cospargendo il tutto con del pecorino grattugiato; appena ebbe finito di preparare la zuppa, si allontanò per riporre la pentola del brodo e il marito, uscito dal nascondiglio da cui osservava tutto, tagliò un’altra fetta di pane e l’aggiunse alla zuppa. La moglie tornò, si sedette e incominciò a mangiare di buon appetito. Quando arrivò alla settima fetta, guardando nel piatto vide che c’era rimasto l’ultimo strato di pane e non si capacitava, allora disse: - Ma comm, m’aggiu semp mangiat l sett panell 'nzupp e mo ce superat ru suol de sott? Ma io nun ce a faccio cchiù, so sazia! Allora il marito uscì dal nascondiglio e disse: - Che è, nun ce a fai cchiù? E riavul schiatt(a)t! Chiss sev ru setaccio da cummare?!!!
Questo racconto ci fa riflettere non solo sull’astuzia con cui certe mogli raggiravano i mariti in passato ma è interessante anche dal punto di vista storico-linguistico, in quanto attraverso di esso e di altri ci possiamo rendere conto dell’ evoluzione del nostro dialetto, difatti quelle che per noi sono “ l sett fell d pan” mai ci saremmo sognati di poterle chiamare "l sett panell 'nzupp”.
Clara Ricciardone
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