domenica 12 dicembre 2021

LA CENA DELLA VIGILIA

 LA CENA DELLA VIGILIA si può dire che era più importante del pranzo di Natale, un momento sacro in cui tutta la famiglia si riuniva. La cena era tipica, così come oggi, e si componeva di varie portate: spaghetti con le vongole, baccalà, preparato in vari modi, per le famiglie più ricche il capitone, broccoli, insalata di rinforzo, zeppolelle con alici e baccalà, frutta secca e poi struffoli, roccocò, mustacciuoli e susamiegli, a seconda dell’agiatezza della famiglia. Tra le altre portate, in alcune famiglie si preparavano i cucuzzi, un piatto di recupero della cucina mondragonese: bucce di melone fatte essiccare al sole, fatte rinvenire in acqua, infarinate e fritte , condite con una salsina di aglio e aceto. Venivano chiamate anche “le anguille dei poveri” in quanto chi non si poteva permettere di comprare le anguille, le sostituiva ironicamente in questo modo. Si risparmiava per tutto l’anno ma si faceva di tutto perché a Natale niente mancasse sulla tavola, secondo la tradizione; si stava, però, bene attenti che le provviste durassero per tutte le feste per cui il paniere con la frutta secca, ad esempio, veniva appeso in alto ad una pertica di legno nella grande cucina contadina perché nessuno vi potesse accedere. Sul finire della cena, arrivava il momento della frutta secca che i bambini aspettavano molto interessati perché il papà distribuiva loro le noccioline e tutti contenti le conservavano perché dopo cena si mettevano a giocare: “a piccul”, spingendo la nocciola con l’indice e il pollice, facendola rotolare, per mandarla in una fossetta e a “senghetieglio e tuzza” in cui una nocciola doveva riuscire a colpirne un’altra. Chi vinceva, si portava via tutto il malloppo oppure alla fine divideva le nocciole con gli altri. I bambini erano felici con poco, certo erano altri tempi e altri giochi, ma pur sempre giochi di abilità. Nell’attesa di recarsi in chiesa, si iniziava, poi, il gioco della tombola, in quell’atmosfera scherzosa e giocosa che si viene a creare solo la notte di Natale. Le ore passavano senza fretta, con semplicità ma di certo nessuno si annoiava. C’era anche chi si metteva a ballare e a cantare nell’attesa della nascita santa: nel rione san Francesco, ad esempio, c’era una donna che sapeva ballare, e battendo gli zoccoli per darsi il ritmo, e suonando il tamburo cantava, ripetendo le parole degli zampognari: -A notte de Natale è notta santa , ru Padre e ru Figliuolo e ru Spiritu Santo! Evviva Natale! Evviva Natale! E tutti , presi da una gioiosa euforia ripetevano e l’accompagnavano nel canto, battendo le mani. Quando stava per scoccare la mezzanotte, tutti si recavano in chiesa per assistere alla Santa Messa. Per illuminare le strade, quando non c’era ancora l’energia elettrica, secondo quanto riferito dagli anziani, ai due lati della strada si accendevano gli “strugli”, delle torce realizzate con la “stramma”, un’ erba che cresce in montagna. Al ritorno a casa si deponeva il Bambino, ormai nato, nella mangiatoia. Al mattino le donne incominciavano presto a preparare il pranzo di Natale con cura e nei minimi dettagli, che non era rigoroso come la cena della Vigilia in quanto si diversificava e ognuno preparava quello che preferiva ma secondo un’antica usanza, chi poteva, preparava il cappone ripieno in brodo e tagliolini in brodo. Ragazzi, giovani e adulti , vestiti a festa , andavano a portare gli auguri a parenti e ad amici. Ai più piccoli, i nonni preparavano “ la mazzetta”, poche monete da 5/10 lire che mettevano da parte proprio per loro. Anche nel pomeriggio figli e nipoti andavano a fare gli auguri ai nonni, ma ci si teneva molto anche ad andare dai compari. Finite le feste, si ritornava alla vita, alle ristrettezze e alle preoccupazioni di tutti i giorni, quel periodo festoso e spensierato era finito per cui si usava dire: “Prima Natale né fridd né fame, ropp Natale fridd e fame!












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