PER APPROFONDIRE L'ARGOMENTO "IL TEMPO DELLA VENDEMMIA"
Ci si avviava la mattina con i traini con tutto l’occorrente: tini, botti, secchi ecc.; arrivati nei campi si procedeva subito a scaricare tutti gli attrezzi e ognuno prendeva posto davanti al suo filare e si accingeva a recidere i bei grappoli e a riempire il secchio che si andava poi a svuotare nel tino o nella botte posti fuori al filare o sotto qualche pianta.
L’operazione di svuotamento era sorvegliata da una persona adatta a ripulire il raccolto da foglie, seccume , muffe, parti marce e non mature per avere un raccolto di buona qualità.
Si mettevano da parte i grappoli più belli di uva bianca, che venivano appesi per essere essiccati e che venivano poi utilizzati in cucina come uva passa
Se il contadino doveva fare il vino per sé e per la famiglia, portava l’uva a casa per la pigiatura , se intendeva venderla , lasciava le botti in campagna e il giorno dopo sarebbero venuti i compratori, già contattati, a prelevarla.
Erano giornate di intenso lavoro ma non se ne avvertiva la stanchezza, tra le risate e i canti in coro che intonavano i vendemmiatori a cui talvolta rispondevano i lavoratori dei campi vicini; qualcuno incominciava a cantare ma da lontano non si capiva bene cos’era, poi le voci si univano a formare cori che si armonizzavano e correvano da un filare all’altro; erano per lo più canti d’amore ma che esprimevano anche la gioia di vivere di persone felici di stare insieme, di condividere il lavoro, il cibo, il divertimento, in sintonia con un territorio bello e generoso, che grazie alla fertilità e al lavoro dell’uomo, forniva loro prodotti buoni e genuini per un’ alimentazione salutare.
Quello della vendemmia era, dunque, un vero e proprio momento rituale, un evento sociale significativo , in cui, se il buon sapore dell’uva deliziava il gusto, la socializzazione e il divertimento ritempravano lo spirito, un’ occasione preziosa in un tempo in cui i divertimenti erano pochi.
Quando arrivava il momento di mangiare ci si sedeva all’ombra di qualche pianta per la merenda e ognuno portava qualcosa da casa ma la padrona ci teneva a far bella figura e portava per tutti: pane, salsiccia, grandi frittate, rapeste lessate , condite con olio e peperoncino, olive, ventresca , insalata di pomodori ecc. e tutti mangiavano con appetito; erano tempi in cui non c’era l’ abbondanza di oggi ma il cibo era buono e genuino e chi lo mangiava ne aveva grande rispetto.
Una volta portata l’uva a casa, avveniva la pigiatura a piedi nudi, come molti ricordano, poi si lasciava fermentare il tutto per alcuni giorni, passando così alla trasformazione del succo di uva in vino, avendo cura di rigirare di tanto in tanto. Al termine della fermentazione si separava il vino dalle vinacce e cominciava la rifermentazione e l’invecchiamento.
Dopo la pigiatura, però, c’era una successiva torchiatura delle vinacce, da noi detta “ru sprumuturu”, ed era in quel periodo che l’ odore forte e pungente della vinaccia si diffondeva all’intorno, nei cortili e nei vicoli; poi le vinacce venivano portate alla distilleria Petrone , dove, da esse si ricavava l’alcol.
La distilleria lavorava ininterrottamente da settembre a marzo, di giorno e di notte; la pigiatura della vinacce veniva fatta con i piedi affinché non si ossidassero, e durante il lavoro si sentivano risuonare i canti degli uomini impegnati nella distillazione; una volta era usuale sentire la gente cantare, non succedeva solo in campagna ma cantava nel lavoro il falegname, il panettiere ecc., era probabilmente un modo di esprimere pensieri e sentimenti, raccontando con il canto anche ciò che si provava, cosa che oggi purtroppo non succede più.
( La foto è tratta dal libro di Antonio D'Amato " Mondragone Scorci di vita passata")
Nessun commento:
Posta un commento