sabato 18 novembre 2023

LA GATTA DEL PETRARCA

Tutti conoscono il famoso poeta del ‘300, Francesco Petrarca, il suo amore per Laura, decantata nelle sue più belle poesie.
Negli ultimi anni di vita Petrarca si ritirò a vivere in un paesino, sui Colli Euganei, in provincia di Padova, che da lui prende il nome, Arquà Petrarca, che io ho avuto la fortuna di visitare.
Non tutti sanno che un giorno gli si presentò una gatta a tenergli compagnia e per lei il Poeta arrivò a provare un affetto così profondo da paragonarlo all’amore per Laura.
Lo scrisse lui stesso in una lettera, indirizzata all’amico Giovanni Boccaccio: - Laura, l’amore della mia vita, che la peste mi ha portato via già da un’ eternità, ad Avignone, ancora adesso, dopo molto tempo dalla sua morte , è la regina incontrastata del mio cuore. Eppure un giorno, ormai quasi due estati fa, una gatta è entrata a far parte della mia vita, insidiandone il primato. Da allora, questi due esseri si contendono lo scettro del mio cuore, combattendo una lotta travagliata, che ancora non ha un vincitore sul campo di battaglia dei miei pensieri e dei miei sentimenti.”
E poi prosegue con la descrizione della gatta: - La gatta ha macchie di tre colori diversi, come pochi in questa zona, zampe lunghe e carattere dolce. Il suo mantello è morbido come la più raffinata delle sete ma sono gli occhi, quel che la rende speciale. .. Il suo occhio sinistro è verde brillante come un lago di montagna, l’altro è del misterioso colore dell’ambra luccicante. E’ entrata nella mia casa e nel mio cuore un bel giorno d’estate mentre stavo completando la mia raccolta “De viris illustribus”.
E prosegue: - …. I libri sono stati sempre l’amore della mia vita. Per questo quando morirà sarà imbalsamata e la sua memoria onorata per sempre. .. Ti farebbe piacere comporre un epigramma (breve poesia) per l’epitaffio? ( versi per la celebrazione di un defunto) Te lo chiedo come mio ultimo desiderio, io non sono nella condizione di farlo. La amo troppo e non potrei celebrare la sua morte prima del tempo.
Boccaccio non riuscì ad il desiderio del poeta ma alla fine del ‘500, uno dei proprietari successivi della casa espose in una nicchia, conservata in una teca di vetro, una gatta imbalsamata, in ricordo della gatta del Petrarca.
La casa, oggi di proprietà del Comune di Padova, è sempre meta letteraria di tanti visitatori, curiosi di vedere l’ultima dimora del grande poeta.






mercoledì 8 novembre 2023

A IATT DE P(E)TT(E)NINCELL SE MANGIAV TRE QUART D’ALIC(I) E PESAV MIEZU CHIL

La gatta, che ha dato origine a questo detto, apparteneva alla signora Concettina D’ Ambrosio, soprannominata P(e)tt(e)nincell, titolare di una merceria, che si trovava quasi di fronte alla chiesa del Vescovado.
Si trattava di una merceria storica, quasi sicuramente la prima ad essere aperta nel paese, attiva fino a non molti anni fa.
La gatta si metteva spesso sul bancone del negozio e la padrona se l’accarezzava di tanto in tanto.
La sua presenza era familiare per le persone, che entravano a far compere, chiedevano di lei, le facevano i complimenti e la padrona: - Chesta ccà? Ciert vot me vuard cu ciert uocchie! Ri manc sul a parol!
Una volta la gatta ebbe problemi di salute e non riusciva ad aumentare di peso, da qui nacque scherzosamente il detto secondo cui pesava di meno di quello che mangiava.
Senza saperlo, attraverso il detto, era diventata popolare, tanto che una volta fu citata durante una compravendita di fagiolini.
Negli anni ’60, nei mesi di maggio/giugno avveniva la lavorazione dei fagiolini da mandare nel Nord Italia, che avveniva nei magazzini ma anche sotto ai portoni di case private.
Un giorno, sotto ad un portone di Via Venezia, mentre le donne incestravano, cioè sistemavano i fagiolini nei cassettini , i compratori pesavano i sacchi di fagiolini con la stadera o con la bascuglia e siccome un compratore disonesto, con astuzia, aveva messo “a Marunnell” sotto la stadera, cioè una calamita raffigurante la Madonna per diminuire il peso, avvenne che il contadino venditore si accorse che i suoi fagiolini pesavano troppo poco rispetto alla quantità ed esclamò: - E c(he)’ ammu fatt ccà? A iatt de P(e)tt(e)nincell, che se mangiav tre quart d’alici e pesav miezu chil? 
Non ci si meravigli che una gatta con la sua simpatia sia entrata a far parte della tradizione popolare mondragonese perché gli animali domestici, con cui condividiamo la vita, non solo ci offrono compagnia ma ci danno tanto affetto e amore sincero e incondizionato da essere considerati come persone di famiglia e si soffre per la loro dipartita come per le persone care.
Grazie sempre a Clara Ricciardone 



giovedì 2 novembre 2023

LA PROCESSIONE DEI MORTI

LA PROCESSIONE DEI MORTI 



In passato si credeva che nella notte tra il primo e il due novembre i Morti ritornassero, in processione, nelle loro case, tra i propri familiari e che vi rimanessero fino all’Epifania.
Per questo c’è un detto che dice:
“Le fest iessen e venessen
Ma Pasca Epifania nun mai veness”
Perché i Morti, in quella data, dovevano andar via ma non volevano mai separarsi dai loro cari.
(L’Epifania è considerata la prima Pasqua, la seconda è la Pasqua di Resurrezione, la Pentecoste è la terza, detta anche Pasqua rosata)
Nella notte di Ognissanti si accendeva una candela per far luce alle anime che ritornavano sulla Terra, e sulla tavola, si metteva un piatto con il pane e il bicchiere con l’acqua per permettere al defunto di rifocillarsi dopo il lungo viaggio.
A tale proposito riporto un racconto riferitomi stamattina.
Ad una mamma era morta una figlia giovane. La donna piangeva giorno e notte e non riusciva a darsi pace.
Arrivò il primo novembre e lei sapeva che doveva passare la processione dei Morti, si mise fuori al portone ad aspettare, per vedere la figlia. La processione passò ma la figlia non c’era.
Mentre aspettava guardò in lontananza e la vide, con una brocca sulle spalle, che camminava e si affaticava perché la brocca era pesante.
Quando si avvicinò, la madre le disse: - Figlia mia, io t’apettav, pecché nun stiv mmiez agl’at?
La giovane buttò a terra la brocca piena di lacrime ed esclamò: - Pe colpa toje nun pozz sta mmiez all’assemblea! Bast! Nun cia faccio cchiù!
La donna capì, e da allora non pianse più, pregava soltanto per l’anima della figlia.
La perdita di una persona cara è sempre un evento traumatico, ci vuole tempo per accettarla e solo stando in quel dolore per tutto il tempo necessario, ma non oltre, si può riflettere su ciò che è accaduto e trovare la forza di andare avanti.