Tanto tempo fa, nel periodo della mietitura,un proprietario terriero aveva urgenza di mietere il grano ma essendo periodo di “chiena” cioè periodo in cui tutti venivano impegnati in questo lavoro, non riusciva a trovare operai. Allora decise di rivolgersi ad una squadra di zingari ma lo fece a malincuore perché insicuro della loro affidabilità, sperando in cuor suo che non facessero qualche furbata delle loro. Gli zingari accettarono e di buon mattino si recarono presso il terreno indicato. Il proprietario, come era usanza, preparò una “verta” ossia un pranzo al sacco, ricco di ogni ben di Dio per far bella figura. Lo zingaro più anziano si rivolse alla squadra, dicendo: - Vuagliù, amma mangià o amma met? E tutti in coro risposero: - A prima parol è chell ch’aval! E così tutti si sedettero e consumarono la verta di buon appetito. Completato il pasto, il capo degli zingari si rivolse di nuovo ai suoi: - Vuagliù ce n’amma ì(re) o amma met? E di nuovo tutti in coro: - A prima parol è chell ch’aval! E così se ne andarono sazi e senza mietere il grano.
Non sappiamo se quest’episodio è un fatto realmente accaduto o una storiella inventata che ci è giunta dalla tradizione ma è, comunque, molto divertente ed esemplificativa del rapporto che intercorreva tra gli zingari e i Mondragonesi.
Nel rione S. Angelo si è sempre avvertita la presenza degli zingari, che vi si sono insediati stabilmente non si sa bene da quando, vivendo isolati e suscitando molta diffidenza nei compaesani. C’era una convivenza, si potrebbe dire, molto guardinga da parte dei Mondragonesi. Il lavoro degli zingari consisteva nella compravendita di cavalli, asini, maiali ma eseguivano anche lavori in ferro battuto su richiesta delle persone relativi ad attrezzi per l’agricoltura, coltelli ecc. Parlavano una lingua incomprensibile ed erano portatori di usanze e tradizioni, che i Santangiolesi, loro vicini di casa, hanno avuto modo di osservare e di raccontare, quali i matrimoni, che celebravano secondo usanze alquanto primitive ma nello stesso tempo affascinanti con balli, canti e musica gitana, la serenata che facevano prima delle nozze, il rispetto del lutto, che gli uomini osservavano non radendosi più per molto tempo, quando moriva qualche congiunto.
Nella memoria popolare è rimasta soprattutto la figura di quelle zingare dal corpo florido con gonne lunghe e vistosi orecchini e collane di oro massiccio, che giravano per il paese sempre in due o tre, si avvicinavano alle donne nei cortili con il pretesto di leggere la mano e di predire il futuro e, mentre una leggeva, le altre si intrufolavano in casa e rubavano quello che trovavano oltre a ripulire i pollai. Oggigiorno i pochi zingari rimasti si sono adeguati alle nostre usanze, sono inseriti nel contesto socioculturale del paese in maniera più regolare con occupazioni e lavori di vario genere , sono diventati cittadini mondragonesi a tutti gli effetti e godono di tutti i diritti civili e politici, i loro figli frequentano regolarmente la scuola e la parrocchia. Quelli che vivono nel rispetto delle regole di convivenza con l ‘intenzione di un futuro migliore hanno diritto a tutta la nostra solidarietà nel favorirne l’integrazione e la valorizzazione, non certo l’intolleranza, che genera solo odio, violenza e razzismo.
(Ringrazio Emilio Cuoco per avermi riferito il divertente episodio) L' illustrazione, realizzata dai miei alunni, è tratta dal libro " Mondragone: echi del passato"
Nessun commento:
Posta un commento