martedì 30 novembre 2021

LA RACCOLTA DELLE OLIVE

La raccolta delle olive è un vero e proprio rituale che si ripete ogni anno tra la fine di ottobre e novembre. Dalla loro macinazione al frantoio si ottiene l’olio, “l’oro verde” come viene definito, così importante nella nostra alimentazione.
La raccolta viene eseguita, una volta come oggi, nel momento in cui il frutto raggiunge una buona maturazione. Già il vento d’autunno spazza via le olive più deboli o malate , creando una caduta prematura e naturale, che lascia sulla pianta solo le migliori, che poi una volta raccolte danno l’olio più buono. Era ed è un lavoro faticoso, che si faceva raccogliendo i frutti dal terreno e dai rami. Raccogliere dal terreno era un lavoro di pazienza e molto scomodo, delegato alle donne e ai più giovani. Sotto l’albero venivano sistemati dei teli per farvi cadere sopra le olive, c’è chi ricorda come nel dopoguerra venissero usati per tale scopo i teli dei camion degli Americani. Gli uomini con lunghe forcine di legno scuotevano i rami per farne cadere le olive, quelle che rimanevano attaccate ai rami si raccoglievano a mano. Venivano raccolte nei panieri che venivano svuotate nei sacchi, addirittura quando il lavoro era tanto, per velocizzare le operazioni, c’era una donna che svuotava solo i panieri.
I sacchi pieni, poi, venivano trasportati sui carretti fino a casa, dove le olive venivano messe sui terrazzi, “ncopp agl’ astreco” nel nostro dialetto, oppure in stanze vuote e ben arieggiate in modo da evitare fermentazioni. Ogni sera ci si passava dentro con i piedi in modo da capovolgerle e dopo qualche giorno si “cernevano”,cioè si ripulivano dalle foglie ed erano pronte per essere portate al frantoio, dove bisognava aspettare il proprio turno per macinare. Si svuotavano i sacchi nella vasca della macina , dove le olive venivano macinate da una a tre grosse ruote di pietra poste al centro della stessa vasca . Anticamente c’era un mulo che girava in tondo con una stanga sul collo che faceva roteare le macine circolari di pietra di granito, che schiacciavano le olive. I nòccioli delle olive venivano accantonati e usati come combustibile, anche nei forni per fare il pane.
Le maggiori proprietà di oliveti, erano, in passato, di poche famiglie latifondiste ma anche i piccoli coltivatori piantavano gli olivi nei propri appezzamenti di terreno per poter avere a disposizione l’olio per il fabbisogno della famiglia nel corso dell’anno.
La raccolta per i piccoli coltivatori coinvolgeva tutta la famiglia, erano impegnati tutti: nonni, zii, cugini e perfino i bambini, non si disdegnava l’aiuto di nessuno. Tra i giovani prevalevano gli scherzi soprattutto ci si sfidava a chi riempiva prima il paniere. Quando le olive erano giunte a maturazione bisognava darsi da fare per la raccolta anche se il tempo non era il tempo era bello, se non pioveva forte, si raccoglieva ugualmente e quella pioggerellina fine fine entrava fino alle ossa e qualche persona anziana ricorda che le mamme attente e premurose portavano le maglie asciutte per cambiare i loro bambini al lavoro per proteggerli da malattie da raffreddamento. Per quando era sera le manine erano gonfie come pagnottelle per essere state a contatto con l’acqua per tanto tempo.
Quando arrivava il momento della raccolta avveniva uno scambio di aiuto reciproco tra le famiglie contadine, che si scambiavano le giornate di lavoro per non pagare la manodopera e si facevano diversi tipi di accordi; se ad esempio, c’era qualcuno che aveva molte olive da raccogliere si accordava con qualche amico o conoscente, che si occupava della raccolta e poi al momento della spremitura, l’olio si divideva metà; il pagamento del frantoio, poi, toccava per due terzi al proprietario e per un terzo al raccoglitore.
Quando arrivava l’ora di mangiare, si faceva “ a 'mmarenna” cioè merenda, che consisteva in pane e salsiccia, ventresca, prosciutto, ma anche scarola condita, melenzane sott’olio ecc. ma c’era anche chi accendeva la brace e si arrostivano, un tempo, i “sarachiegli”, pesci salati buoni e gustosi, il cui unico inconveniente era quello di far venir sete. Era proprio quando si mangiava che si scherzava di più e veniva fuori lo spirito festoso, allegro e conviviale della raccolta.
L’olio ottenuto si conservava negli “zzerri”, recipienti di zinco, bianchi all’interno, che venivano fatti stagnare dagli stagnari di una volta e che erano completi di coppino, il mestolino con cui si prendeva l’olio, con gesti lenti e misurati, quasi come in un rito sacro, tanto era prezioso.
Quando in passato si rompeva una bottiglia di olio veniva considerato di malaugurio e faceva presagire qualche disgrazia, facendo venire pensieri funesti e preoccupazioni alle massaie per la propria famiglia, a cui pensavano sarebbe successo qualcosa. In realtà, l’olio è stato sempre un prodotto molto costoso e da usare con parsimonia, ecco perché la rottura di una bottiglia era considerata una vera disgrazia.
Oggigiorno la raccolta avviene in maniera anticipata e si va al frantoio che fa ancora caldo perchè il tempo è cambiato, inoltre sono state introdotte macchine specifiche che alleviano molto il lavoro. I frantoi sono provvisti di impianti che hanno eliminato molte delle attività manuali e la produzione dell’olio pur nel rispetto delle varie fasi, avviene meccanicamente. Non è cambiato, però, lo spirito festoso della raccolta come l’attesa, con un po’ di ansia e curiosità, quando si va al frantoio, di conoscere il sapore dell’olio e delle proprie fatiche. Si fa presto, poi, a testare l’olio su una fetta di pane vicino al camino, meglio ancora su una bruschetta o su un piatto di ceci o di fagioli con i vari commenti e paragoni.

Oggigiorno quasi tutti i frantoi eseguono il controllo della qualità dell’olio ed effettuano analisi per verificare principalmente parametri di acidità, i perossidi e i polifenoli.

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