RU SART
A Mondragone viveva un sarto da tutti conosciuto e stimato. Spesso davanti alla sua bottega si fermavano amici e conoscenti e si intrattenevano a scambiare qualche chiacchiera mentre lui continuava a lavorare.
La sartoria o meglio la bottega del sarto, che da noi anticamente veniva chiamato “ru cus(e)tor”, era un luogo di ritrovo un po’ speciale, frequentato dai più benestanti perché una volta farsi cucire un vestito su misura dal sarto era un lusso.
Quando doveva tagliare, il sarto si chiudeva nella bottega e si assicurava che nessuno fosse presente; ovviamente lo faceva per avere una maggiore concentrazione nel taglio, che, come si sa, è un’operazione fondamentale per la confezione di un abito su misura. La cosa, però, non andava giù agli amici, che un giorno decisero di spiarlo dal buco della serratura.
Il sarto, tutto intento nel suo lavoro, steso un tessuto sul tavolo, incominciò a prendere le misure con il metro e a tracciare dei segni con il gessetto, controllando più di una volta le misure; quando si assicurò che tutto coincideva alla perfezione nel modello tracciato, iniziò a tagliare, e mentre tagliava, tutto concentrato, seguiva con una sorta di mugugno il rumore che facevano le forbici, derivante dall’attrito con la stoffa e con il tavolo.
Allora uno degli amici esclamò: - Ah, ecc pecché nun se vulev fa veré, pecché quann taglij, r’afferr lu mal!
Questo breve racconto della tradizione mondragonese ci fa riflettere su come certe volte la gente si ostina a voler cercare il male a tutti i costi e a vederlo in ogni situazione e quando lo trova o crede di averlo trovato, si rallegra e si compiace neanche avesse conquistato un trofeo.
Certo, però, che tristezza e che sterilità deve essere sprecare il proprio tempo in questo modo, a controllare gli altri e a giudicare, pur sapendo che il nostro tempo è prezioso così come la nostra vita, che di certo non abbiamo chiesto noi ma che ci è stata data in dono per amore. E se siamo stati creati per amore perché non amare? Anziché giudicare si potrebbe amare, semplicemente amare, ma amare proprio tutto del miracolo della vita e celebrarla ogni giorno come si conviene; potremmo scegliere di aprire il nostro cuore all’amore, a dare e a ricevere amore, anche se questo ci potrebbe rendere vulnerabili perché amare comporta il rischio di essere rifiutati, o feriti, ingannati, traditi ecc, ma accettarlo proprio per scelta perché anche questo fa parte della vita e rimanere sempre con il cuore aperto perché non si chiuda mai all’amore. Se la nostra vita è incentrata sull’amore, pur avendo ricevuto il male, riusciremo sempre a ritrovare la nostra pace e la gioia di vivere. Tenere chiuso il cuore per proteggerci non è vivere ma è sopravvivere perché vivere vuol dire amare. Non dovremmo aver paura, quindi, dell’amore, che ci rivoluziona la vita, che è capace di trasformare tutto, che ci fa uscire dai nostri piccoli recinti e ci fa andare verso la vita vera e pulsante, quella che avvertiamo ad ogni attimo e ad ogni respiro.
Converrebbe farlo ora quest’atto di coraggio o meglio questa rivoluzione interiore perché non abbiamo un’altra vita per cambiare idea, la vita è solo questa, “qui ed ora”.
Amare e far bene a qualcuno, poi, fa bene indirettamente anche a noi stessi, ci fa sentire utili e importanti per quella persona, ci dà una gioia, una pace e una grinta che neanche credevamo di avere .
Provare per credere…
Cari amici, mi farebbe piacere sapere cosa pensate di quei gran curiosoni degli amici del sarto….
Grazie come sempre alla carissima Clara Ricciardone
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