mercoledì 8 dicembre 2021

CH(E) T(E) POZZN ACCIR!


 Quando si presenta una situazione di stress emotivo o di dolore fisico oppure se qualcuno ci fa arrabbiare, a tutti capita istintivamente di scattare, di perdere il controllo e di prendere a male parole l’interessato, o comunque di esprimere rabbia o tensione con un linguaggio per così dire meno controllato del solito, ricorrendo alle cosiddette parolacce, che in quel momento hanno un effetto liberatorio e ci aiutano ad affrontare meglio la situazione imprevista e difficile. Anche se solo ci cade un bicchiere di mano e si rompe per la sorpresa siamo portati a dire: - Accidenti – o- Mannaggia!
Freud diceva:- La civiltà ha avuto inizio quando la prima persona in preda alla rabbia ha lanciato un’ingiuria anziché una pietra … Il mondo sarebbe migliore se al posto di tutte le guerre i popoli si assalissero a male parole …
Nel nostro dialetto ci sono vari tipi di improperi, ingiurie e imprecazioni che servono proprio come valvola di sfogo in certe situazioni. Ce n’è una , in particolare, CHE TE POZZN ACCIR, che suona come un’invettiva, che usiamo per contrapporci a qualcuno, che ha fatto qualcosa che non doveva fare. La cosa assurda è che l’espressione è talmente usuale che la si utilizza anche semplicemente per scherzare e alcuni la usano proprio come un intercalare nel discorso, senza pensare minimamente al significato di ciò che si dice eppure le parole hanno un significato ben preciso, anche se lo si dice ridendo e scherzando. Usare quest’espressione significa augurare la morte ad una persona ma non una morte pacifica e tranquilla bensì le si augura di venire uccisi. A me, personalmente, quest’espressione non è andata mai a genio e, se potessi, l’abolirei dalla nostra tradizione linguistica. Suggerirei di augurare sempre il bene a chi ci vuol male e a chi ci vuol bene perché sia il bene che il male ritornano sempre al mittente.



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