Chi fa mal a ri muon(a)c(i)
San Francisc(o) se ne paga
Da questo detto mondragonese si evince come erano amati i monaci francescani nel nostro paese, a conferma della vita esemplare e dell’apostolato che essi svolgevano in mezzo al popolo e della stima che godevano presso tutti.
Dopo la morte del Santo ogni città faceva a gara per avere i figli di san Francesco nella propria terra e ad essi è attribuita la fondazione di numerosi conventi e chiese a lui intitolate.
I fondatori del nostro convento e della chiesa sono stati i duchi Carafa della Stadera, signori di Mondragone dal 1464 al 1690,denominati così per distinguerli dall’altro ramo detto “della Spina”. L’emblema, una stadera scolpita in marmo, si trova ancora nella chiesa di san Francesco.
Fu Don Antonio Carafa della Stadera, principe di Stigliano, duca di Maddaloni,a fondare la chiesa e il Convento , dove si insediarono i monaci.
Dalla tradizione e dalle Cronache risulta quanto essi abbiano espletato la loro missione con la parola e con l’esempio , studiandosi di riportare il popolo cristiano a quell’ideale evangelico per il quale san Francesco aveva consumato tutta la sua esistenza terrena.
Il convento, che aveva la capacità di ospitare da 10 a 12 frati, era composto da un piano terra con officine e chiostro, refettorio e stalla con mangiatoia e un primo piano adibito a dormitori.
La chiesa, posta a destra dell’antico convento, di stile romanico, inizialmente si chiamava dell’ “Annunziata” grazie ad un’ aedicula dedicata all’Annunciazione di Maria.
Purtroppo dopo quattro secoli di vita pacifica, stimati dal popolo, anche i frati francescani di Mondragone risentirono dell’ondata eversiva e persecutoria che investì la Chiesa e gli Ordini Religiosi agli inizi dell’800.
Con l’arrivo di Napoleone e con le cosiddette “leggi eversive” vennero soppressi gli Ordini Religiosi francescani e confiscati i loro beni, i fabbricati conventuali furono incamerati dallo Stato e concessi ai Comuni per utilizzo di pubblica utilità.
Tra i conventi soppressi ci fu anche quello di Mondragone. Non sempre le truppe francesi si comportarono bene, in alcuni casi uccisero i vecchi frati rimasti nei conventi. Il nostro convento nel 1812 fu concesso al Comune e fu adibito a scuola pubblica, furono costruite cisterne per uso della popolazione e il Comune vi aveva depositi di oggetti vari . La chiesa rimase sempre aperta alla devozione popolare e solo per un breve periodo servì a bivacco delle truppe, che vi facevano le esercitazioni militari.
All’era napoleonica seguirono poi, altri eventi storici come tutti sappiamo e solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo 135 anni dalla soppressione degli Ordini religiosi, il 6 ottobre i Frati Minori ritornarono a Mondragone, dopo quasi un secolo e mezzo di assenza.
Furono inviati nel nostro paese due giovani frati: P. Paolo Monsurrò di Torre Annunziata e fra Benigno Fele da Qualiano, ai quali nel tempo se ne aggiunsero altri.
Quando i monaci ritornarono a Mondragone, c’era tanta povertà, il fraticello “ ru picuozzo” andava in giro con la bisaccia a chiedere l’elemosina e le famiglie anche se povere, davano e condividevano con i monaci quello che avevano.
Tra i monaci e le famiglie del rione c’era un rapporto davvero speciale di amicizia, di rispetto, improntato alla cordialità e alla semplicità. Il saluto che rivolgevano sinceramente a chiunque era “Pace e bene” , il saluto di S. Francesco, l’augurio più bello e rassicurante che si possa rivolgere ad una persona.
Quando i monaci ritornarono a Mondragone nel ’46 non avevano più dove alloggiare perché il convento era diventato proprietà privata e non fu più possibile riaverlo indietro, bisognava costruire un nuovo convento e questo fu possibile grazie alla donazione dell’avvocato Giovanni Schiappa di 380 mq a Nord della chiesa.
E Il 16 ottobre del ‘49 iniziò la costruzione del nuovo convento. Ci vollero circa 9 anni per la sua totale realizzazione . I lavori furono eseguiti grazie alla tenace volontà e ai sacrifici dei Francescani, agli aiuti dei benefattori.
Le famiglie più benestanti : Gravano, Caracciolo, Greco, Cardella, Fusco, Sementini, La Torre, tutti furono generosi benefattori. La famiglia Razzano non faceva mai mancare la guantiera con il caffè né la famiglia Cardella pizze , pastiere ecc. Il pescivendolo mandava loro il pesce già pulito.
La famiglia Caracciolo, don Onorato e donna Antonietta che non avevano figli, alloggiavano tutti i monaci quando si facevano le 40 ore , anche 14/15 alla volta per dormire, furono proprio loro, tra l’altro, che donarono il terreno ai Passionisti per la costruzione della chiesa di S. Giuseppe.
Anche tra i monaci e le altre famiglie del rione c’era tanto affetto fraterno e familiarità. Di qualsiasi cosa venisse preparata in casa se ne faceva una porzione per i monaci : il pane, la pizza, i lupini, le bottiglie di pomodoro; se si ammazzava il maiale gli si mandava l’arrosto, se si faceva la composta, un vasetto era per i monaci , se si scioglieva la sugna, un vasetto era per loro ma siccome ogni famiglia aveva il pensiero di donare ai monaci, accadeva che a volte le offerte erano superiori ai loro bisogni e allora le sorelle De Simone che avevano un negozio di vernici, in via Iolanda, rivendevano la sugna o la composta e il ricavato andava ai monaci per la costruzione del convento.
Era tutta una gara di solidarietà tra gli abitanti del rione per sostenere i monaci che hanno insegnato tanto ed educato il popolo alla fede cristiana. In particolare essi si recavano spesso a mangiare presso la famiglia La Torre, che abitava nella “cortiglia larga” quasi di fronte alla chiesa, a casa di zi Cicciglio Chiuovo.
Diversi sono gli episodi ricordati dalle persone anziane, relativi al ritorno dei monaci a Mondragone.
Una volta nel periodo della vendemmia tre frati si recarono a casa La Torre per prendere l’uva, zi Cicciglio stava scaricando le balle di fieno mettendole l’una sull’altra, una di esse cadde e lui si lasciò scappare una bestemmia . I monaci erano in tre, senza indugio, lo presero e lo misero a testa in giù in una botte e lui che non se l’aspettava gridava: - Disgraziati! Non venite più qua! E loro: Chiedi scusa a Gesù! Bestemmi più? E lui: - No, no, tiratemi fuori! Alla fine finì lo scherzo ma zi Ciccio imparò la lezione.
Una volta per le sante 40 ore venne a predicare P. Costantino Noce da Firenze. Il fratello di zio Ciccio che era un accanito donnaiolo, una sera ascoltò la sua predica e ne rimase colpito. Si recò dal fratello, sapendo che i monaci andavano a mangiare da lui e gli chiese di farglielo conoscere, il fratello non voleva e lo mandò via: - Vattenne , stu scunduttato! Ma lui una sera si presentò da solo, entrò in amicizia con P. Costantino e lo cercava spesso, poi si confessò e pian piano cambiò vita.
Una volta i monaci, di giovedì santo dovevano andare a Napoli per la Messa Crismale e siccome a quell’epoca la sacrestia non si chiudeva, tutto era ancora in stato di abbandono, non erano ancora stati fatti i lavori e i monaci portavano il calice e gli arredi sacri di valore nella casa della Caserma vecchia, in via Elena, di fronte a via Crocifisso, dove alloggiavano, di proprietà della famiglia del sacerdote don Ciccio Gravano, per paura che li rubassero. Raccomandarono a fra Benigno, ru picuozzo , un fraticello piccolo di statura, di non muoversi di là e di non far entrare nessuno. Quando fu ora di pranzo zi Cicciglio lo andò a chiamare per farlo mangiare a casa sua per ben tre volte ma lui rifiutò categoricamente. Poi arrivò una donna che andava a Messa ogni giorno e che era al corrente del fatto e portò un cesto pieno di ogni ben di Dio per il pranzo ma lui non mangiò fino al ritorno dei suoi confratelli.
Nessun commento:
Posta un commento