domenica 19 dicembre 2021

DON CICCIO

La figura di questo sacerdote è stata molto importante e significativa nella storia della chiesa di S. Francesco. Nato a Mondragone il 7-1- 1872, morto nel 1951, abitava proprio di fronte alla chiesa di S.Francesco , figlio di una famiglia benestante e molto devota. Compiuti gli studi presso il Seminario di Sessa Aurunca,fu ordinato sacerdote da Mons. Diamare il 30-3-1895. Quando i monaci francescani dovettero andar via da Mondragone a causa delle leggi eversive napoleoniche, la rettoria della chiesa fu affidata prima a un religioso che per malattia non poté sloggiare dal convento e in seguito ai vari parroci confinanti. Essendo abbastanza ampia e funzionale, era molto ambita dai parroci di S. Rufino e di S. Giovanni Battista. Il parroco di S. Rufino nel 1811 ad ogni costo voleva trasferire la sua parrocchia nella chiesa francescana perché la sua era piccola e malandata. In seguito con decreto del 23-1-1812 si stabilì che delle quattro parrocchie esistenti allora se ne costituisse una sola , quella di san Giovanni Battista con S. Angelo e S. Rufino coadiutrici. Il parroco di S. Rufino Ferdinando Sementini con l’unificazione delle parrocchie venne trasferito nella centrale chiesa di S. Giovanni Battista. Essendo questa quasi cadente a causa di un terremoto chiese al Gran Giudice di trasferire la sua parrocchia per tutto il periodo dei lavori di restauro, che durarono diversi anni, nella chiesa francescana.

Molte richieste furono fatte nel corso degli anni per il ripristino del soppresso monastero di S. Francesco da parte del sindaco, del clero e dei cittadini ma sempre con esito negativo.
Ancora continuarono le rivendicazione della suddetta chiesa da parte dei parroci di S. Giovanni Battista e S Rufino e ripetute lettere furono inviate al Vescovo fino a che qualcosa di nuovo avvenne.
Nella famiglia Gravano che abitava di fronte alla chiesa di S. Francesco, il figlio Francesco diventò sacerdote nel 1895 ed era molto devoto del Poverello di Assisi. Egli, nel 1917, dopo aver superato mille ostacoli e tramite conoscenze varie, riuscì a comprare la chiesa di S. Francesco con la sacrestia e il piazzale esterno dal demanio ma il padre che aveva finanziato l’acquisto per il figlio sacerdote, volle che fosse intestata la proprietà a lui e ai due fratelli, don Adolfo e don Eduardo. Poiché non fu chiesta alcuna autorizzazione alla Curia di Sessa, don Ciccio, come da tutti veniva familiarmente chiamato, venne sospeso dal Vescovo, il quale era venuto a conoscenza del fatto da una lettera anonima firmata “Lucio Vero”.
Il Gravano allora scrisse una lunga e commovente lettera al Vescovo in cui espose gli sforzi e i sacrifici compiuti per salvare la chiesa di san Francesco dalle mani di coloro che volevano impossessarsene per adibirla ad usi profani. Si recò allora a Roma per avere una sanatoria , promettendo di trasferire in S. Francesco la piccola e cadente chiesa di S. Rufino, dove era l’aiutante del parroco Petrella e fu assolto. Alla morte del Petrella , fu nominato parroco di S. Rufino ed essendo la chiesetta cadente trasferì la parrocchia nella chiesa di S. Francesco. Ricevette il possesso canonico della suddetta chiesa dal vescovo Fortunato De Santa e compì sempre le funzioni parrocchiali. Con grande zelo fece radicali restauri sostenendo le spese con denaro personale e familiare.
Il vescovo De Santa però insistentemente gli chiedeva di cedere la chiesa alla Diocesi ma egli si schermiva dicendo che doveva persuadere i fratelli ai quali pure era stata fatta l’intestazione. Il 19 marzo del 1946 il Gravano, essendo ormai anziano e malato, presentò le dimissioni da parroco. Gli successe don Salvatore Razzino già viceparroco. Don Salvatore però riprese a celebrare i sacri riti nella chiesa di S. Rufino ormai restaurata.
Così il Gravano prima della sua morte con animo nobile e generoso volle ridare ai figli di S. Francesco quella chiesa che loro malgrado furono costretti ad abbandonare. Si rivolse al Provinciale di allora, P Giacomo Iovine e questi inviò due giovani frati, P. Paolo Monsurrò di Torre Annunziata e fra Benigno Fele da Qualiano.
Dalle testimonianze orali si sa che don Ciccio era molto generoso e caritatevole, quando andava a benedire le case nel periodo pasquale e riceveva in dono le uova come si usava all’epoca, le regalava a sua volta alle massaie del rione. La famiglia aveva tanti terreni di proprietà e quando si raccoglievano le mandorle, le donava ad ogni famiglia del rione, lasciandole fuori alla porta; quando qualcuno, uscendo, le trovava, ne informava gli altri, dicendo : - E’ venuto don Ciccio, ha portato le mandorle! Alle ragazzine che portavano l’acqua in casa dalla fontana alla governante Erminia regalava sempre qualche soldo e loro di corsa andavano alla bottega a comprare le spezzatelle o le barchette di liquirizia. Quando diventò anziano e non sopportava più le intemperanze dei ragazzini in chiesa era solito dire: -Fuori! La chiesa è mia , vado dal maresciallo dei Carabinieri! Quando si faceva la Via Crucis, aveva in mano un bastone con il quale colpiva in testa qualche ragazzino che si distraeva non per picchiarlo, solo per richiamarlo all’attenzione. Prima di morire donò tutta le sue proprietà alla chiesa di S. Francesco, che furono poi rivendute per la costruzione del nuovo convento. Anche l’area dove ora si trovala piazzetta Nassiria,in via Elena, apparteneva alla sua famiglia. Quando morì gli furono tributate esequie molto solenni, da S. Pasquale a Chiaia venne un pulmino con più di 30 monaci che cantarono nel coro che animò la celebrazione eucaristica.


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