Tanti anni fa, più precisamente nel 1956, nel giorno della vigilia di Natale ci fu un’abbondante nevicata a Mondragone, fatto inusuale dalle nostre parti. Quell’anno il Santo Bambino davvero venne a nascere “al freddo e al gelo”. Nonostante il freddo, come ogni anno, ad una certa ora tutti si avviarono verso la chiesa perché alle 11, 30 sarebbe iniziata la funzione e a mezzanotte sarebbe nato il Bambino. Anche una vedova con due bambini, un maschietto e una femminuccia si avviò verso la chiesa di san Francesco. Tutte le sere la donna, molto devota, andava in chiesa con i bambini. La femminuccia molto attenta, seguiva con attenzione la S. Messa ma il bambino non ci andava volentieri, si annoiava, sempre seduto nel banco, non capiva perché tutte le sere la mamma li portava in chiesa, l’avrebbe capito poi, con il tempo, tanto più che la Messa allora si celebrava in latino e lui non capiva una parola. C’erano solo due giorni all’anno in cui non andavano in chiesa, alla festa dei Santi e dei Morti perché le Messe in quei giorni si celebravano al cimitero, dove loro si recavano per l’occasione, rimanendovi dalla mattina fino all’orario di uscita. Stare su quel banco, a volte, era una tortura e ogni tanto si allungava o si stiracchiava, si abbassava, si alzava, si girava finché una sera Padre Angelico, il frate che suonava l’organo, che si trovava in fondo alla chiesa in alto, lo osservò e gli fece una ramanzina tale da dissuaderlo per sempre a fare altri movimenti inopportuni. Con la mente, però, divagava e pensava a cose più interessanti, a quando con suo cugino andava ad acchiappare le rane nei fossi “abbascia a le parul”(paludi), che la zia spellava e poi preparava o in brodo o indorate e fritte o a quando andavano a mettere le tagliole(trappole) per acchiappare i passerotti, che sempre la zia arrostiva sulla brace del camino, dopo averli spennati, eviscerati e lavati per benino. Ma più di tutto pensava al suo gioco preferito, correre dietro al pallone, quello sì che gli garbava tanto, allora sì che si concentrava al massimo e non si stancava mai, si sentiva libero e felice. La sera della Vigilia, però, gli piaceva andare in chiesa, ricordava bene i riti solenni che si ripetevano ogni anno e i canti, il suono dell’organo, l’incenso, tutto gli sembrava più bello. Quando nasceva il Bambino, poi, alla fine , tutti in fila lo andavano a baciare, era così bello, roseo e cicciottello, grande come un vero neonato, il Bambino più bello di tutte le altre chiese del paese, che ancora oggi viene esposto nella chiesa di S. Francesco. Non avrebbe voluto dargli solo quel bacio frettoloso ma prenderlo in braccio, coprirlo con un copertina calda e riempirlo di tanti baci senza contarli.
Quella sera il bambino seguì tutto con attenzione. Era quasi l’una di notte quando tutti si avviarono per tornare a casa, anche lui con la mamma e la sorella si avviarono. Mentre camminavano osservavano la neve che si era depositata soprattutto ai lati della strada, tremavano dal freddo ma ben presto arrivarono a casa e la mamma cercava la chiave per aprire la porta ma cerca e ricerca la chiave non si trovava. L’avevano perduta! Proprio quella sera che il freddo faceva battere i denti. Per un attimo si guardarono smarriti. Che fare? Pensarono di tornare a cercarla e così tutti e tre iniziarono il percorso all’indietro, guardando a terra minuziosamente con molta attenzione. Finalmente verso metà strada sul lato destro, sulla neve spiccava la chiave marrone. Era una chiave grande perché una volta le chiavi non erano come quelle di oggi ma molto più grandi. La mamma la prese con sollievo e tutti e tre quasi correvano per la gioia senza pensare neanche più al freddo. Arrivati a casa, ben presto si misero a letto, al calduccio sotto le coperte ma prima di addormentarsi, il bambino ripensava a quello che era successo, al fatto che per fortuna con la chiave erano riusciti a rientrare in casa, dove lui si sentiva protetto e al sicuro. Fu quella chiave il miracolo della notte di Natale, il più bel regalo di un Natale, che mai avrebbero dimenticato.
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