Quest’antica leggenda mondragonese, raccontata nel rione S. Nicola non ha nulla da invidiare alle leggende più famose e note della mitologia greca riguardanti il grano; essa fornisce una spiegazione fantastica della reale forma della spiga di grano, stretta e lunga come la lingua di un cane. Il racconto fa riflettere non solo sulla brillante e feconda fantasia dei Mondragonesi di un tempo ma anche sul carattere di sacralità che aveva il pane nell’antica società contadina a tal punto da far pensare al castigo divino per chi lo sperperava. La leggenda, quindi, aveva anche uno scopo educativo, voleva insegnare a non sprecare il pane, l’alimento fondamentale per eccellenza, che ha salvato dalla fame intere generazioni. Quando il contadino, dopo un lavoro estenuante, riusciva a portare a casa i sacchi di grano, era soddisfatto e tirava un sospiro di sollievo perché la sua famiglia era salva dalla fame.
La leggenda narra che le spighe di grano non sempre sono state così, un tempo ogni stelo presentava due bellissime infiorescenze, che davano vita ai frutti e che producevano il doppio del grano che produce una spiga oggi. C’era una tale abbondanza di questo cereale che le persone cominciarono a non aver più rispetto del pane che con esso si produceva, lo buttavano come niente fosse, lo sperperavano e ne facevano un uso improprio e inadeguato; addirittura le donne, al massimo dello scempio, con le fette di pane pulivano il culetto ai bambini. Il Signore nel vedere tutto ciò si sdegnò e decise che il grano non avrebbe dato più frutti. Le spighe crescevano ugualmente ma non fruttificavano. Ne conseguì una grave carestia e la gente moriva di fame. Tra gli altri animali anche il cane non trovava più da mangiare e tutto scheletrico e denutrito si presentò al Signore e disse: - Diu mij, ce castigat a tutti quant, ma ij che colp n teng? Ij m mor d fam, assi me faciss truvà nu poc d pan! Il Signore ebbe pena dell’animale, si pentì della sua decisione e fece ricrescere le spighe di grano ma non più come prima, ogni stelo produceva una sola spiga dalla forma stretta e allungata come la lingua di un cane. Fu così che grazie al cane l’umanità riebbe il grano.
(Ringrazio Clara Ricciardone che mi ha riferito la leggenda tramandatole da sua nonna, Giovannina Franchino, originaria del rione S. Nicola)
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