venerdì 23 giugno 2023

LA MAGICA NOTTE DI SAN GIOVANNI

 

Il 24 giugno la Chiesa festeggia la Natività di san Giovanni Battista, fissata secondo la tradizione religiosa a sei mesi prima della nascita di Cristo. E’ l’unico santo di cui si festeggia la nascita, secondo la carne, oltre a Gesù e alla Madonna. Il “dies natalis” dei Santi, infatti, quello nel quale vengono ricordati nel calendario, corrisponde al giorno della loro morte perché morendo, essi nascono alla vita eterna.

La sua festa cade quasi in corrispondenza del solstizio d’estate, quando la natura è nel massimo rigoglio e poiché nell’antichità la società contadina traeva dall’agricoltura l’intera ragione di vita, attorno a questa ricorrenza la tradizione popolare ha creato tutta una serie di riti propiziatori, credenze magiche, riti di purificazione, raccolta di erbe magiche ecc.
San Giovanni, dunque, secondo la tradizione, è la festa solare per eccellenza , la vittoria della luce sulle tenebre, del bene sul male.
Nella tradizione popolare europea la notte di san Giovanni viene considerata una notte particolare, la notte magica per eccellenza, una notte carica di presagi, in cui la natura parla agli uomini e al mondo.
In molte località in questa notte si accendono falò come rito di purificazione, per propiziare buoni raccolti e per cacciare streghe e demoni.
Secondo le tradizioni nordiche è in questa data che il mondo naturale e soprannaturale si compenetrano , è il tempo in cui i pianeti e i segni zodiacali concorrono a caricare di virtù le pietre e le erbe. La terra si imbeve di strani influssi; le erbe medicinali, madide di rugiada, acquistano maggiore efficacia, si caricano di magici poteri e possono guarire le malattie.
L’uomo è pronto, in questa notte, ad accogliere la potenza della natura per farla propria. E’ in questa notte che in questa notte che le erbe diventano miracolose: l’iperico o erba di san Giovanni, la ruta, che come recita un proverbio mondragonese “ogni male stuta”, la salvia contro il mal di pancia, la menta contro l’influenza, il rosmarino contro la calvizie ecc.
E’ anche la notte in cui si raccolgono le noci ancora verdi per fare il nocino, detto anche “elisir di san Giovanni”.
Le noci andavano messe in infusione nell’alcol fino alla notte di san Lorenzo, il 10 agosto per essere poi filtrato e zuccherato.
E’ in questo periodo che a Mondragone, maturano le cosiddette “melelle di san Giovanni”, piccole mele di colore verde, che non si trovano in commercio, sono esclusiva di quei pochi contadini che hanno conservato qualche albero di questi frutti dolcissimi e quasi dimenticati.
La notte di san Giovanni viene definita anche la notte delle streghe, che secondo la tradizione pare prendessero il volo per andare a caccia di anime e per recarsi al grande raduno di Benevento, dove tutte danzavano attorno all’albero di noce; il loro detto magico, ripetuto anche da noi, alla partenza, era: “Sott’acqua e sotta vient sott a noce de Beneviento” .
Un tempo a Mondragone per evitare che una strega potesse entrare in casa, si posizionavano dietro all’uscio di casa un sacchettino pieno di sale o una scopa in modo che la megera era costretta a contare granello per granello o filo per filo della scopa, così si faceva giorno e doveva andare a nascondersi.
In passato questo giorno era considerato sacro al pari di un capo d’anno e da qui l’usanza di trarre presagi e prevedere il futuro.
Tante sono le forme di divinazione legate alla notte di san Giovanni , quasi tutte vertevano sull’indovinare qualcosa del proprio futuro amoroso e matrimoniale.
Qui a Mondragone, come anche in altre località, si usava versare il piombo nell’acqua, che si raffreddava velocemente e dalle forme assunte si traevano previsioni sul futuro oppure si metteva un albume d’uovo in mezzo bicchiere d’acqua e la mattina dopo qualche persona esperta interpretava la forma che aveva assunto, traendone previsioni per il futuro.
Altro simbolo della notte di san Giovanni è la rugiada, che ricorda il Battesimo impartito dal Battista nel Giordano a Gesù.
Inoltre, la figura del Santo, che ha battezzato Gesù, ha dato origine, nel tempo, alla figura del “compare” o “padrino”di Battesimo, di Cresima e di Matrimonio , caratterizzando quella forma di parentela spirituale che in molte parti d’Italia viene definito Comparatico, volgarmente detto anche “sangiovanni”.
Esso ricorda il vincolo sacro stabilitosi tra Gesù e san Giovanni nel fiume Giordano, un rapporto spirituale che non deve essere mai tradito; la violazione di siffatto legame è ritenuta, nella tradizione popolare, sacrilega e meritevole di terribili castighi.
Si può dire che i compari erano gli amici più veri perché si sceglievano di propria volontà sia per affinità di vedute, di sentimenti, per quel feeling che a volte si viene a creare tra le persone con cui si sta bene in compagnia e a cui ci si vuole legare.

Diventare compari significava essere legati alla reciprocità, promettersi favori e assoluta disponibilità in ogni tipo di circostanza. Qui a Mondragone si invitavano i compari per l’uccisione del maiale, che richiedeva tanto lavoro; con i compari ci si scambiavano giornate di lavoro nei campi, quando moriva qualcuno della famiglia, i compari portavano “ru cuonsolo”, cioè preparavano il pranzo per i familiari del defunto e così via.

sabato 17 giugno 2023

LU CAFE’ A NAPULE … CU L’ACQUA DE SERIN..

Prendere il caffè è sempre un piacere con cui iniziare la giornata oppure per prendere una pausa quando si ha bisogno di staccarsi un po’ dalla routine quotidiana.
Un buon caffè, preso senza fretta, ci ricarica di energie, ci permette di riordinare le idee e di ricominciare, ci ricentra, ci riequilibra, insomma, a volte, ci svolta la giornata.
Prendere il caffè a Napoli, però, è ancora di più, è un rito, un’esperienza sensoriale inebriante.
Solo al sentire quell’aroma forte e penetrante che ti arriva al naso prima che alle papille gustative, ti predispone all’allegria e alla comprensione, al voler essere propositivi e più accondiscendenti con tutti.
Può essere anche un’occasione per vedersi con gli amici e rendere speciale quell’incontro.
Il mito del caffè a Napoli ha sempre affascinato i Mondragonesi, anche quelli di una volta, quasi come un sogno, non troppo difficile da realizzare.
Non di rado gruppi di amici mondragonesi, si ritrovavano con la voglia di far qualcosa di speciale e bastava che qualcuno dicesse: - Ci andiamo a prendere il caffè a Napoli? E per tutta risposta salivano in macchina e via, diretti verso la città partenopea, quasi una meta turistica.
Una volta là, poi, magari, accompagnavano il caffè con una sfogliatella o con un baba e poi un bel giretto per Napoli, prima del ritorno.
Tempo fa, una volta, si stava discutendo proprio della superiorità del caffè napoletano e tutti erano concordi nel dire che il caffè a Napoli era un’altra cosa, era più buono che da qualunque altra parte.
Eh- disse uno dei presenti - se sap, chell lu fann cu l’acqua de Serin!
Un contadino, presente alla discussione, sentendo decantare il caffè napoletano in quel modo, incominciò a desiderare tanto fare quell’esperienza, almeno una volta nella vita.
Chissà quanto costerà! - pensava e da allora incominciò a mettere da parte i soldi per realizzare quel desiderio.
Finalmente arrivò il giorno in cui si poté recare a Napoli a prendere il caffè. Dapprima bevve il bicchiere d’acqua per preparare il palato, poi sorseggiò il caffè piano piano in maniera quasi mistica e contemplativa.
Poi chiese: - Quant’è? E il barista: - Vint lir! – Ah- fece lui, tutto meravigliato- Vint lir?!! E allor, me ne facite pur nu cat pa ciuccia ?!
Chissà quanto credeva che costasse quel caffè.
Questi racconti, dalla comicità, a volte, un po’ grossolana, derivanti dalla nostra tradizione contadina, rivelano sempre qualche verità.
Difatti veramente Napoli è rifornita dall’acquedotto del Serino.
Le sorgenti di Serino, da sempre rinomate per la qualità e la gradevolezza dell’acqua fornita, sono situate nel cuore dell’ Appennino Campano, nel territorio della provincia di Avellino.
Il primo acquedotto del Serino fu costruito dai Romani in età augustea fra il 33 e il 12 a C. per risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico di diverse città, quali Pozzuoli, Napoli , Cuma e Miseno. L’ultimo degli acquedotti di Serino è stato inaugurato nel 1885.
Attualmente Napoli è rifornita da quattro acquedotti, costruiti in tempi diversi: quello del Serino è il più antico, altri si sono aggiunti nel dopoguerra, quando la popolazione ha cominciato a espandersi da Posillipo a Fuorigrotta, ai quartieri oltre la Ferrovia e le nuove zone industriali.
E’ risaputo che l’acqua del rubinetto di Napoli è perfettamente potabile e salutare, una delle più buone in Italia, soggetta a periodici controlli.
La qualità dell’acqua, come si sa, è importante per la nostra salute e per una vita migliore.
Ci siamo sempre chiesti perché a Napoli il caffè e la pizza sono più buoni che dalle altre parti sebbene fatti con gli stessi ingredienti.
Sarà per la maestria dei Napoletani o per l’acqua del Serino, come dice il racconto?
Clara Ricciardone








martedì 13 giugno 2023

IL CULTO DI SANT’ANTONIO A MONDRAGONE

A Mondragone sant’Antonio è stato sempre molto amato tanto da diventare compatrono della città insieme alla Madonna Incaldana.
La popolazione agricola riponeva grande affidamento nell’intercessione del santo per ottenere grazie di ogni tipo.
Alcune preghiere a lui dedicate sono nate dalla devozione popolare e qualcuna è rimasta ancora nella memoria delle persone. Se ne riporta qualcuna:
Sant’Antonio tuttu putent
13 grazie fai ogni mument
Gesù Crist a te te sente
Sant’Antonio facce cuntent
Sant’Antonio giglio giocondo
è nominato per tutto il mondo,
chi lo tiene per suo avvocato
da sant’Antonio sarà aiutato
Alla processione in onore del Santo si cantava:
Sant’Antoniu vergine e sacrat
la curona de Gesù la puorti ‘ncap
te l’ha missa la Vergine Maria
facce la grazia Sant’Antoniu mio
Un’ altra preghiera per ottenere grazie veniva recitata e ripetuta sui grani della Corona , come se fosse un Rosario:
Sant’Antò cammina tu
lengua santa parla tu
13 grazie fai al giorno
fammene una che m’abbisogna
Quando qualcuno aveva qualche problema, chiedeva al Santo di intercedere, e in particolare, alla “lingua santa” di parlare in suo favore al Signore.
Forse non tutti sanno che sant’Antonio inizialmente viveva nella preghiera e nel nascondimento e non si conosceva il suo dono per la predicazione fino a quando non tenne un discorso per un’ordinazione sacerdotale a Forlì nel 1222.
Alla cerimonia erano presenti francescani e domenicani ma per qualche malinteso non era stato dato a nessuno l’incarico di tenere il discorso di saluto.
Fu chiesto a sant’Antonio di fare un breve sermone ed egli protestò dicendo che il suo compito era quello di lavare i piatti e i pavimenti e che non era capace di fare più nulla ma il Superiore insisteva e il Santo dovette accettare per non trasgredire la regola dell’obbedienza.
Così incominciò a parlare davanti al Vescovo e a tutti i presenti senza essersi preparato e pronunciò un sermone così eloquente e colto che lasciò tutti stupiti.
In tal modo i Francescani si resero conto dei suoi talenti, il Santo fu richiamato dal convento e mandato a predicare in varie zone.
Grandi folle si radunavano per ascoltarlo: gli uomini lasciavano il lavoro e le donne, a volte, trascorrevano la notte in chiesa per avere il posto assicurato.
Ben presto le chiese non furono più sufficienti e sant’Antonio dovette tenere le sue prediche nelle piazze e nei mercati.
Si dice che mettesse in ginocchio i peccatori e addolcisse i cuori dei criminali più incalliti.
L’8 aprile 1263, a 32 anni dalla sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, all’apertura della cassa, che ne conteneva i resti mortali, alla presenza di una numerosa folla e di san Bonaventura da Bagnoregio, allora Ministro generale dell’Ordine francescano, apparve, tra lo stupore di tutti, la lingua incorrotta del Santo, come se appartenesse ad un uomo ancora vivo.
San Bonaventura, mostrando la lingua ai fedeli, esclamò: - O lingua benedetta, che hai sempre benedetto il Signore e lo hai fatto benedire dagli altri, ora appare a tutti quanto grande è stato il tuo valore presso Dio!
La preziosa reliquia della Lingua viene custodita nella basilica di Padova, nella cosiddetta “cappella del Tesoro”.
Per Antonio la lingua significava “annunciare il Vangelo con la sua passione e competenza”. Egli ripeteva: - Chi non conosce la Scrittura è un analfabeta poiché solo guardando noi stessi nello specchio della Parola possiamo capire chi siamo realmente.
Era tale la devozione al Santo qui a Mondragone che addirittura nel 1928 il sacerdote don Francesco Gravano, chiamato familiarmente da tutti don Ciccio, molto devoto al Santo, nella chiesa di san Francesco fece erigere un trono marmoreo in suo onore proprio dove ora si trova l’altare maggiore, ma nel 1946, ai monaci tornati dopo la guerra, non sembrò giusto che il Crocifisso stesse in fondo alla chiesa e il Santo sull’altare maggiore, allora sistemarono il Crocifisso al centro e sant’ Antonio da un lato e san Francesco dall’altro.
In seguito spostarono i due santi nelle nicchie laterali definitivamente, dove si trovano attualmente.
La statua lignea del Santo, che si venera oggigiorno nella chiesa di San Francesco, pregevole opera dello scultore ortiseiano Luigi Santifaller, è stata realizzata verso la metà del ‘900 ed ha sostituito l’antico simulacro in cartapesta, già venerato dai fedeli.
Il Santo, che è quasi sempre raffigurato con il saio, qui da noi è rappresentato con saio, cotta e stola sacerdotale; regge con il braccio destro Gesù Bambino e nella sinistra ha il giglio, simbolo della purezza e trasparenza della vita, rispettando la classica iconografia del Santo.
Si racconta che sant’ Antonio prima di morire si ritirò a Camposampiero, dove il signore del luogo, il conte Tiso gli allestì una specie di celletta tra i rami di un albero di noce, su sua richiesta.
Lì sant’Antonio passava le sue giornate in contemplazione e si ritirava nell’eremo solo la notte.
Una sera il conte, andando a trovare l’amico, fu attratto da un immenso splendore e vide Antonio che stringeva tra le braccia Gesù Bambino .
Sant’Antonio lo pregò di non dirlo e il conte lo rivelò solo dopo la sua morte.
Che i Mondragonesi venerino molto sant’Antonio lo si capisce da tante cose: il 31 maggio verso mezzogiorno avveniva, fino a pochi anni fa, la cosiddetta “calata di sant’Antonio”: i fedeli, poco prima di mezzogiorno, si radunavano in chiesa e tra canti e preghiere assistevano all’intronizzazione del Santo. La sera, poi, iniziava la Tredicina.
Nei giorni della Tredicina, tutt’oggi c’è un andirivieni di fedeli di altre parrocchie che vengono a pregare il Santo.
Nel giorno della sua festa, poi, si celebrano le Sante Messe come per la domenica, con la chiesa gremita di fedeli.
In questo giorno veniva benedetto e distribuito ai fedeli il “pane di Sant’Antonio”, le classiche pagnottelle che ognuno portava a casa , facendone mangiare un pezzetto “per devozione” ai propri familiari, dopo aver recitato la preghiera.
La tradizione del Pane di sant’Antonio trae la sua origine da uno dei tanti prodigi attribuiti al Santo: un bambino di 20 mesi di nome Tommasuccio era annegato perché la mamma lo aveva lasciato incautamente accanto ad un recipiente pieno d’acqua.
La donna disperata fece voto che se il Santo lo avesse risuscitato, avrebbe dato ai poveri tanto grano quanto il peso del bambino. Il miracolo avvenne e da allora in poi è nata una tradizione chiamata “pondus pueri”( il peso del bambino): i genitori promettevano il pane in cambio della sua protezione.
Con il tempo si consolidò la tradizione di offrire il pane nel giorno della sua festa in cambio di una grazia ricevuta.
C’è anche l’usanza di far indossare ai bambini l’abitino francescano per ringraziare il Santo della protezione ricevuta e farla conoscere agli altri.
Nel giorno della sua festa, poi, Sant’Antonio viene portato in processione, nelle strade principali di tutti i rioni proprio perché è il Santo di tutti i Mondragonesi. Le famiglie si danno da fare ad innaffiare le strade dove deve passare la processione per rendere così più agevole il cammino delle persone che accompagnano il Santo per tutto il paese. E’ solo alla processione di Sant’Antonio che si sparano i botti in ogni strada e ci si tiene davvero tanto, in ogni rione i devoti vanno di casa in casa a chiedere i soldi per tale scopo.
E così, tra gli spari assordanti, la banda che suona, la recita delle decine del Rosario e i canti dei devoti, il Santo passa e benedice ogni punto della città ed è in questo modo che il popolo mondragonese esprime la devozione autentica e il sincero amore per il Santo dei miracoli, a cui tutti si rivolgono con fiducia e speranza.


(La foto è tratta dal libro di Padre Berardo Buonanno "Notizie storiche del Convento della Chiesa e dei Frati di Mondragone")

martedì 6 giugno 2023

MASTU PEPP

Per chi non è venuto alla presentazione del libro, riporto un aneddoto, raccontato dal prof. Cosimo Antitomaso, riguardante il Palazzo Ducale, ricchissimo di storie e leggende.
Tra le famiglie che abitavano nel Palazzo Ducale ce n’era una, detta “Ri sgubbitt” perché tutti i componenti avevano la gobba.
“Ri sgubbitt” facevano i “mannesi” nello spazio antistante il Palazzo Ducale, cioè aggiustavano i carretti, un po’ come il lavoro dei meccanici di oggi, che aggiustano le macchine. Quando si passava di là, li si vedeva tutti affaccendati nel loro lavoro.
La loro deformità li faceva sembrare strani esseri eppure figure familiari , appartenenti a quel variopinto mosaico di volti, di persone, di anime, che a quel tempo popolavano Mondragone, ognuno con il suo ruolo: l’arrotino, il maniscalco, il sarto, il ciabattino ecc.
Personalmente ricordo che , da bambina, quando passavo di là e li vedevo, mi sembrava davvero di vivere nel paese delle fiabe perché li associavo ad altre figure fiabesche che avevo in mente: il drago, la principessa, le fate, le streghe , gli gnomi, i nani, ecc.
In mezzo ad essi mettevo anche i gobbetti del Palazzo Ducale perché si sa che i bambini son portati a trasformare facilmente la realtà in fantasia e viceversa.
Altro che fantasia, direi, oggi. La loro deformità era dovuta ad un’anomalia della colonna vertebrale, che al giorno d’oggi, con tutti i progressi della medicina, sarebbe stata curabilissima ed anche loro, con le dovute cure, avrebbero potuto avere la schiena diritta come gli altri ma a quei tempi, purtroppo, non era ancora possibile e gli è toccato rimanere così, a vita.
Mastu Pepp era uno dei componenti della loro famiglia. Il poverino non aveva né il bagno né il pitale (vaso da notte) per espletare i bisogni corporali e quando aveva bisogno, si recava “Abbascj a le Pannine”, cioè nello spazio retrostante il Palazzo Ducale, in aperta campagna.
Una notte, spinto da un impellente bisogno, vi si recò, come di solito, ma nel momento cruciale, si vide attorniato da tre janare malintenzionate.
Mastu Pepp per sfuggire alle loro grinfie, fece appello a tutta l’energia che aveva in corpo e con la forza della disperazione incominciò a correre, a correre e mentre correva, esclamò: - Si me ne jesc da sta bott , nu iesc(o) cchiù a cacà la notte! Cioè si ripromise che se fosse sopravvissuto a quella disavventura non sarebbe più andato in campagna, di notte, per i suoi bisogni.