I terreni ubertosi e ben coltivati che facevano parte della Campania Felix al tempo dei Romani erano diventati paludosi e malsani nel Medio Evo perché con le invasioni barbariche tutto era caduto in abbandono.
Quelle terre una volta erano popolate da ville e vigneti e intersecate da numerose vie, tra cui spiccavano l’Appia e la Domitiana.
I Longobardi e poi i Normanni tentarono di prenderne possesso ma dovettero ridursi sulla costa e sulla cima del monte Petrino dove non arrivavano le esalazioni delle paludi sottostanti.
Quella vasta estensione di territorio nota come bacino inferiore del Volturno, che per la maggior parte apparteneva ai comuni di Mondragone , Castel Volturno e Villa Literno, era tutta sott’acqua.
Diversi erano i motivi dell’impaludamento: la scarsa manutenzione dei canali, che non venivano espurgati, gli straripamenti del Volturno, il cui deflusso era ostacolato dalle dune, che si opponevano allo scolo delle acque in mare.
Un altro motivo era da ricercare nelle grandi estensioni dei latifondi. Mentre i servi della gleba si limitavano a coltivare i terreni adiacenti al castello, le vaste distese dei campi lontani erano latifondi, boscose paludi, non toccate da piede d’uomo, dove trovavano ricovero perfino gli animali feroci. Appartenevano a duchi e baroni, che non ne conoscevano neppure i confini e che si ereditavano di generazione in generazione.
Quelle terre non potevano essere messe a coltura e non solo non producevano nulla ma con i miasmi riuscivano infeste agli abitanti, la cui vita era stentata e brevissima.
Tali rimasero le condizioni delle terre di Mondragone, famosa per la malaria, che si leggeva sul volto degli abitanti, nei quali si poteva osservare quella forma di cachessia ( deperimento organico e indebolimento fisico), riconoscibile anche agli occhi del profano. Un individuo su dieci aveva l’addome gonfio per tumore alla milza.
Depurare quell’aria da esalazioni micidiali e prosciugare e fertilizzare quei terreni e rendere possibile la divisione e quotizzazione tra i cittadini poveri era un’impresa altamente civile ed economica da gran tempo reclamata per migliorare le condizioni di vita della popolazione e per elevare alla dignità umana quegli esseri che di uomini avevano solo le fattezze.
L’uomo, destinato a vivere in quelle zone, acquistava un carattere speciale, contraddistinto dalle note patologiche della malaria: un minorato, un degenerato, un sofferente, su cui incombeva, come un fato, il vivere negli acquitrini; era il mazzonaro.
Il termine “mazzonaro”, che dà origine anche al nome della zona dei Mazzoni, deriva molto probabilmente dalle rudimentali mazze, bastoni, con cui i mazzonari guidavano la mandria.
Come si legge nel libro “Storia di Mondragone” del dott. Biagio Greco, ecco il ritratto che ne fa il Savarese:
(Giacomo Savarese fu uno dei principali esponenti politici durante il regno di Ferdinando II di Borbone, autore di importanti testi sull’economia e sulle finanze napoletane, consigliere del re)
“Il mazzonaro è un uomo di forme atletiche, ma sparuto in viso e panciuto molto per l’abituale gonfiezza del fegato, effetto della malaria cronica. Tutto il suo avere consiste negli ordigni di caccia e di pesca , nella giumenta e in una specie di barchetta, a cui dà il nome di sandalo. La sua industria consiste nel prendere a soccio bufali, cavalli e maiali; il suo armento pascola errando nelle paludi, senza ch’egli si curasse di sapere a chi appartenesse il suolo che calpesta. Nelle stagioni opportune una preda abbondante compensa le fatiche della caccia e della pesca. Tutto il resto dell’anno è tempo di riposo. Avvolto nel suo ampio mantello e costantemente vestito di lana, anche in piena estate, il mazzonaro rimane assiso sull’uscio della sua capanna , in una specie di ozio meditativo. Nessun uomo straniero alla contrada osa penetrare nei Mazzoni quando non sia conosciuto. Non vi sono strade, né case, né ponti”
( Ecco come gli alunni della scuola elementare hanno rappresentato il mazzonaro e la sua capanna)
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