I Canti della devozione popolare per S.Antonio nella testimonianza della prof.ssa Adele Papa Adele Pa
Pubblicato da Caterina Di Maio su Giovedì 29 agosto 2024
Il blog di Caterina Di Maio dedicato alle tradizioni locali, agli usi, costumi e racconti di Mondragone CE, curato e pubblicato da Esterina La Torre
giovedì 29 agosto 2024
Canti per S.Antonio
I Canti della devozione popolare per S.Antonio nella testimonianza della prof.ssa Adele Papa
mercoledì 28 agosto 2024
D(E) (E)STAT SICCA VIETT
D(E) (E)STAT SICCA VIETT .... CHE DE VIERN SO CUNFIETT
D’estate secca i rametti della vite con i grappoli d’uva perché d’inverno gli acini diventano dolci come confetti e cioè buoni da mangiare.
Il termine “viett” , che significa rametti, è detto in questo modo per fare rima con “cunfiett”, ma in realtà il termine mondragonese originario è “vett”.
Questo detto ci riporta a quando non c’erano ancora i frigoriferi, congelatori ed altri mezzi moderni di conservazione dei prodotti agricoli.
C’era l’usanza di seccare l’uva per farne l’uva passa ma non solo, anche le bucce dei meloni per friggerle a Natale, le bucce dei fichi d’India, si seccavano i pomodori, le melenzane da mettere sott’olio, i semi di zucca, i fichi , tutto ciò che era possibile seccare per poterlo avere poi d’inverno.
L’essiccazione è stato sempre il metodo più antico di conservazione, il sole e il vento hanno permesso alle generazioni passate di preparare scorte durature di vari prodotti per l’inverno.
Si coprivano i prodotti dagli insetti con dei veli a fori piccoli , tipo tulle. Il problema era quello che la pioggia non li bagnasse e bisognava mettere tutto al sicuro prima che incominciasse a piovere.
Al calar del sole, per evitare l’umidità notturna, si ritiravano i prodotti in casa e si rimettevano al sole il giorno dopo.
Il termine “vett” viene dal latino “vectus”, che significa condotto , trasportato, che a sua volta viene dal verbo veho-is- vexi- ctum – vehere, che vuol dire condurre, avanzare, trasportare.
“Ru vett” si riferisce al ramo o tralcio della vite, che dal fusto della pianta, attaccato ad un palo, viene accompagnato con delicatezza dal contadino in una direzione e quindi condotto, trasportato, allungato ed appoggiato quasi spontaneamente su dei fili – guida, a cui si aggrappa, come si può osservare nei vigneti.
Con il tempo poi il termine è passato ad indicare anche i rami tagliati, gli scarti di potatura della vite ed anche i rami secchi.
Si dice anche “Mitt ru vett rent a ru purtus” cioè “Metti un rametto nel buco” sia per ricordarsi di qualcosa come quando per lo stesso motivo si facevano i nodi al fazzoletto ma anche come punto di riferimento.
E’ sempre bello scoprire come una semplice parola del nostro dialetto ci possa riportare indietro nel tempo, alla lingua dei nostri antenati, il latino, che ancora continua a vivere nella nostra e come questo termine ci possa catapultare all’improvviso nell’antica Sinuessa, alla coltivazione della vite, allora molto fiorente, al vino Falerno, alle nostre origini.
Grazie alla sig.ra Carmela Filosa, che mi ha spiegato questo antico modo di dire.
martedì 27 agosto 2024
ME PARE A COT(E)N NCOPP A RI CRAUN
ME PARE A COT(E)N NCOPP A RI CRAUN
A Mondragone si usa quest’espressione per indicare una persona gelosa e invidiosa degli altri.
Viene paragonata alla cotenna del maiale quando si mette sulla brace perché questa, a contatto con il fuoco, piano piano si consuma, si incomincia a sciogliere, cigola, sfrigola, si strugge, si contorce, si deforma, diminuisce di volume e perde la sua forma originaria.
Anche la persona gelosa fa così, non riesce a vivere la propria vita perché è concentrata su quella degli altri, è sempre lì a spiare, a controllare, a fare paragoni, a puntare il dito, a disprezzare e sminuire qualcuno perché ogni successo altrui è un attacco alla propria autostima, e soffre e consuma tutte le sue energie per questo.
E’ chiaro che questo continuo confronto con gli altri nasce da un’insicurezza e insoddisfazione cronica della propria vita.
Le persone gelose lottano con sentimenti di inferiorità che cercano di compensare con la rivalità e il disprezzo altrui.
La gelosia è distruttiva perché porta a voler distruggere in ogni modo la persona che si ritiene rivale ma è anche autodistruttiva perché influisce negativamente sulla propria salute mentale.
Le conseguenze della gelosia sono: il pettegolezzo, l’insinuazione, il sabotaggio della persona che si considera nemica.
Riconoscere in noi stessi la gelosia non come un segnale di debolezza ma come un segnale dei nostri bisogni e desideri insoddisfatti porta all’autoconsapevolezza e a relazioni interpersonali più sane ed empatiche.
Certo non è facile spiegare, a parole, ciò che soffre una persona gelosa, il tormento continuo a cui è sottoposta ma non per il dialetto mondragonese che, con un paragone eloquente più di mille parole, sempre legato al mondo contadino, ci dice che la persona gelosa soffre tanto, come “na cot(e)n ncopp a ri craun”
Grazie alla sig. Carmela Filosa, che mi ha fatto conoscere questo modo di dire del nostro dialetto.
lunedì 5 agosto 2024
RER CASCA RER
Un uomo aveva un padre vecchio ed era stanco di vederselo sempre davanti e di assisterlo. Un giorno preparò una bisaccia, mettendo dentro poche cose e lo portò sulla montagna, dove lo abbandonò.
Dopo anni , un giorno vide il figlio che stava facendo la stessa cosa, ne capì l’intenzione e chiese: - Ma pecché? E il figlio: - T’aggia purtà ncopp a muntagn!
Allora si rese conto e rispose: - Ma che staje a ffà, rer casca rer? Da na g(e)nerazzion a ‘nnat, da lu mal a lu peggio? E sp(e)zzamm(e)l sta catena!
E convinse il figlio a non ripetere il male che lui stesso aveva fatto.
L’espressione “Rer casca rer” voleva dire che quando si cade all’indietro, cioè ci si incammina sulla via del male , non si riesce a ritrovare la strada del bene e si può solo cadere sempre più all’indietro e quindi sempre più in basso. Ci vuole un atto di coraggio per risalire e per imparare, successivamente, a riconoscere e a gestire il bene e il male che sono in tutti noi.
(Racconto della sig.ra Carmela Filosa)

Dopo anni , un giorno vide il figlio che stava facendo la stessa cosa, ne capì l’intenzione e chiese: - Ma pecché? E il figlio: - T’aggia purtà ncopp a muntagn!
Allora si rese conto e rispose: - Ma che staje a ffà, rer casca rer? Da na g(e)nerazzion a ‘nnat, da lu mal a lu peggio? E sp(e)zzamm(e)l sta catena!
E convinse il figlio a non ripetere il male che lui stesso aveva fatto.
L’espressione “Rer casca rer” voleva dire che quando si cade all’indietro, cioè ci si incammina sulla via del male , non si riesce a ritrovare la strada del bene e si può solo cadere sempre più all’indietro e quindi sempre più in basso. Ci vuole un atto di coraggio per risalire e per imparare, successivamente, a riconoscere e a gestire il bene e il male che sono in tutti noi.
(Racconto della sig.ra Carmela Filosa)

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