sabato 24 febbraio 2024

I(O) SO MAMMA A PETR



"I(O) SO MAMMA A PETR"

La tradizione popolare mondragonese, attraverso semplici racconti, legati al mondo contadino, ci presenta spesso grandi verità, perle di saggezza da tutti universalmente riconosciute, su cui riflettere.
In questo racconto anche la mamma di S. Pietro deve fare i conti con la nostra tradizione, a dimostrazione del fatto che per ottenere il Paradiso non ci sono né favoritismi né raccomandazioni.
Secondo un’ antica leggenda diffusa in tutta Italia, la mamma di S. Pietro non era una brava persona. Quando morì, andò all’Inferno e trovandosi tra le fiamme e in mezzo ai dannati, chiamò il figlio, pensando che tanto lui aveva le chiavi del Paradiso e quindi poteva farla entrare.
San Pietro si rivolse al Signore, il quale chiese:- Ma tua madre ha fatto perlomeno qualche buona azione durante la vita?
San Pietro, a sua volta, lo chiese alla madre, che disse:- Veramente no, nun aggiu fatt le bon azion, ma aspett, però mo che me ricord, na vot steva a lavà le cipoll rent a nu riv e na col de cipoll carett rent all’acqua e io riciett “ Frisch all’anem de ru Priatorio!”
Così avvenne che la donna, aggrappandosi a quella esile coda di cipolla, iniziò a salire verso il cielo.
Le persone che la vedevano, per andare in Paradiso, incominciarono ad aggrapparsi a lei, chi ad una scarpa, chi al vestito, chi ad una manica e tiravano, tiravano.
E lei infastidita, cercava di divincolarsi e diceva:- Lassate, lassateme, io so mamm a Petr, io so mamm a Petr! Voleva dire che solo lei poteva salire in Paradiso perché era la mamma di S. Pietro.
Alla fine, però, tra lei che cercava di divincolarsi e quelli che da sotto tiravano, fecero un gran trambusto e caddero tutti a terra e nessuno andò in Paradiso.
Ovviamente che la madre di S. Pietro non fosse una brava persona non risulta da nessuna parte ma per la nostra fantasia popolare serviva proprio lei per dimostrare che neanche i vincoli di sangue possono servire per andare in Paradiso né astuzie umane come quelle di chi si aggrappava a lei, ben altre sono le strade da percorrere.
Grazie sempre a Clara Ricciardone

Questa leggenda è diffusa in molte parti d'Italia anche nel nord con l'aneddoto  "Viene fuori la vecchia" "Ven fora la vecia"




lunedì 19 febbraio 2024

LE CORD PA CHITARR


Un giorno due amici mondragonesi s’incontrarono e uno dei due disse che doveva andare a Napoli per lavoro. Allora l’altro, approfittando della situazione, disse: - Vist che te truov a gghì a Napul, me vuò fa nu piacere? Me può accattà le cord pa chitarra, che se so rott? L’amico disse di sì ma, quando si incontrarono di nuovo, disse che lo aveva dimenticato e, siccome andava a Napoli ogni giorno, l’altro lo pregò di nuovo: - Mò, te raccumann, nun te scurdà! -No, no! rispose.
Dopo qualche giorno, quando si rincontrarono l’amico chiese : - Me le purtat le cord pa chitarra? - No, nun me ricje nient, io m’aggiu scurdat n’ata vot!
Aé, e che casp(i)t, mò te raccumann, sta vot nun te scurdà chhiù! Anz, mò te rong pur ri sord!
E l’amico: - Ah, mò sì che vuò suonà!!!

Grazie sempre alla carissima Clara Ricciardone



lunedì 12 febbraio 2024

Tradizioni di Carnevale

A quanto pare, dell’antico Carnevale contadino, non sono rimaste solo lasagne e tabacchere ma anche il caro Carnevale “scialone scialone”.
Grazie a Stefanuccio che continua le nostre tradizioni.

(Foto di Angelo Razzano)

IL CARNEVALE SCIALONE SCIALONE DELLA TRADIZIONE MONDRAGONESE
Il Carnevale è una festa legata alla religione cristiana e collegato alla Quaresima e alla Pasqua.
Il termine Carnevale deriva dal latino carnem levare cioè eliminare la carne perché in Quaresima c’era il divieto di mangiare carne.
Se oggi è proibito mangiare carne solo il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì santo, una volta era proibito per tutta la Quaresima.
Ecco perché il Martedì di Carnevale era l’ultimo giorno in cui si poteva allestire un banchetto e abbuffarsi prima del periodo di astinenza e digiuno quaresimale.
La Quaresima era il periodo peggiore dell’anno, il freddo aumentava nel periodo di fine inverno, era proibito cantare e ballare, i coniugi non potevano avere rapporti sessuali, le carni erano bandite dalla tavola, le uova si dovevano conservare per la Pasqua e quindi non si potevano mangiare. Le aringhe, lo stoccafisso e il baccalà comparivano perlopiù sulla tavola contadina come secondi piatti, insieme a sarde e alici oltre alle zuppe fatte con ortaggi, legumi, erbe di campo e tanta verdura, soprattutto broccoli .
Si diceva infatti:
“ Vruocc(o)l de rap e vruocc(o)l de foglie
e a Quaresima s’arravoglia”
Ecco perché prima della Quaresima era previsto un periodo per soddisfare tutte le voglie, e i peccati di gola ed erano permessi come anche tutti i comportamenti trasgressivi, la libera espressione, il mascheramento ecc purché confinati in un ambito spazio temporale decretato dalla tradizione, quello appunto del Carnevale.
La tradizione popolare mondragonese ha personificato questo periodo dell’anno con il personaggio di Carnevale scialone scialone, un fantoccio riempito di paglia con l’aspetto tipico di un uomo, pressappoco un contadino delle nostre zone.
Carnevale veniva definito scialone scialone perché veniva visto dalla gente come un uomo gaudente, che pensava solo a mangiare e a dissipare. Dalle tasche e dal taschino ancora fuoriescono pezzi di salsiccia e ventresca, che non aveva finito ancora di mangiare.
Nel nostro dialetto scialare vuol dire godere in abbondanza, senza limiti e misure, di qualcosa. Si può scialare, ad esempio, di denaro, di sonno, di vino ecc, nel caso del cibo scialare vuol dire mangiare a dismisura, senza freni ed è per questo che Carnevale muore.
La parola scialone viene da scialare, verbo che deriva dal latino (e)xhalare, che vuol dire espirare, emettere, cioè metter fuori tutto, si dice infatti “ha esalato l’ultimo respiro” e da qui consumare tutto, spandere con larghezza, in maniera illimitata.
Il pupazzo, simbolo del nostro Carnevale, veniva messo seduto fuori ai portoni, con il giornale in mano, il cappello in testa e la pipa in bocca. Tutti i passanti si soffermavano e fingevano di piangere la sua morte.
Nel lamento funebre si fingeva di chiedere a Carnevale perché fosse morto come se non se ne conoscesse il motivo ma poi lo si derideva, dicendo che si era venduto perfino i pantaloni per il cibo.
Prima della morte diversi medici erano venuti al capezzale del moribondo per individuare la causa del suo malore.
Al caro Carnevale si cantava così:
Carnevale pecché si muorto?
E manneggia chi t’è muorte!
Di gioia di gioia
e chille mo more e chille mo more e collera! Rit.
Carnevale scialone scialone
S’è ‘mpignato ru cauzone
Di gioia di gioia…..
Carnevale scialone scialone
Sa cacat ru cauzon
Di gioia di gioia…
Si sapevo che tu murive
T’accerev n’ata gallina
Di gioia di gioia……
E’ venut ru mierec de Casanov
A ritt che Carneval mo se mor
Di gioia di gioia…
E’ venut ru mierec deTraett (antica Minturno)
A ritt che Carneval ten ru mal ‘mpiett
Di gioia di gioia…
E’ venut ru mierec de Sparanis
A ritt che Carneval mo mor accis
Di gioia di gioia …
E’ muort è muort,
E ancor ncriccat ru ten!(allusione)
Ru che?Ru che? Ru cuoppl ncap!
Di gioia, di gioia…
A piangere la morte di Carnevale, tra gli altri, c’era anche la moglie, la Quaresima, una donna alta, magra e denutrita, tutta vestita di nero, simbolo delle privazioni, della penitenza e del digiuno quaresimale, che rappresenta.
Verso sera il pupazzo di Carnevale veniva caricato su una “trainella ”e portato per le strade del paese accompagnato da finti ed esagerati lamenti e pianti di persone travestite. La festa si concludeva con il dare fuoco al fantoccio e questo costituiva anche un augurio per il nuovo anno da poco iniziato.
(La trainella era un piccolo calesse, un veicolo a due ruote per il trasporto di persone, generalmente trainato da un asino ma veniva anche portato a mano per il trasporto di merci, quali farina, fagioli ecc)
Grazie alla sig.ra Marianna Campanile

sabato 3 febbraio 2024

II CANTO DEI BRIGANTI

 


II CANTO DEI BRIGANTI

Il cui testo è andato completamente perduto, consisteva nella rappresentazione di scenette, pazzìe, come si chiamavano qui da noi, che si improvvisavano per strada, a Carnevale, sempre ad opera di soli uomini e che scherzavano sulla figura dei briganti che, imboscati nei boschi o sulle montagne, aspettavano l’arrivo di qualche signore per derubarlo ed anche per ucciderlo, pur avendo preso il bottino, per la paura di essere denunciati.Riproporre attraverso un evento ludico e popolare come il Carnevale la maschera e la figura del brigante diventava uno strumento per raccontare un pezzo di storia del nostro territorio, per riproporre una realtà storica quasi dimenticata ma che ha segnato profondamente tutto il Sud Italia, il fenomeno del brigantaggio postunitario, nato per diversi motivi: la non accettazione del governo dei Piemontesi e del nuovo Stato formatosi, il servizio di leva obbligatoria, che durava anni, la mancata distribuzione delle terre ai contadini ecc. .
Era, quindi, anche un modo, si potrebbe dire, per esorcizzare la paura dei briganti che avevano infestato il nostro territorio.
Qualcuno ancora ricorda che gli attori si ricoprivano con foglie e rami di piante per mimetizzarsi con la natura, proprio come facevano i veri briganti.

Vi metto il link della canzone BRIGANTE SE MORE cantata da Eugenio Bennato, composta anche con la collaborazione di Andrea Nerone, nostro concittadino.

giovedì 1 febbraio 2024

LU SANGU(E) S’AMMAZZ(E)CA E (NU)N SE SPUTA


Il sangue si mastica e non si sputa. E’ un modo di dire non solo mondragonese ma napoletano, secondo cui i legami di sangue non si possono mai rigettare, qualunque cosa accada.
A proposito di questo detto popolare mi è stato raccontato un episodio da più di una persona per cui presumo che sia vero.
Due fratelli abitavano nello stesso portone, in due appartamenti, uno a destra e uno a sinistra. Per qualche litigio o incomprensione non si parlavano da tempo.
Un giorno il suocero di uno dei due andò a trovare la figlia e disse al genero: - Chigliu scem de fratet a parchiggiat a lambretta stort e io nun riuscev a trasì rent a ru purton cu a machin!
E il genero: - E comm ve permettit? A fratm sul io ru pozz chiamà scem! Vuje chi sit?
Passarono pochi giorni e l’uomo lasciò la moglie.
Non mi permetterei mai di dare giudizi sull’accaduto perché siamo umani e tutti sbagliamo continuamente, solo vorrei far osservare che tanti matrimoni finiscono per l’intromissione, nel rapporto matrimoniale, della famiglia di origine, sia da parte del marito che della moglie e giudici e avvocati ne sanno qualcosa.
Ricordo un altro detto, che ho letto in un libro del prof. Schiappa sui proverbi CHELL DE RU LIETT TE FA SCURDA’ CHELL DE RU PIETT! Quella del letto, cioè la moglie, ti fa dimenticare quella del petto, cioè chi ti ha allattato ossia la madre.
Secondo questo detto il marito per compiacere la moglie diventa irriconoscente verso la madre.
Come si può vedere, anche la tradizione popolare si divide su questo antico dilemma e si contraddice, tendendo ora da una parte, ora dall’altra.
Così come l’uomo che, tra la famiglia di origine e la nuova famiglia che ha formato, non sempre è in grado di essere imparziale e giusto, facendo soffrire ora l’una, ora l’altra parte.
Grazie a Clara Ricciardone