venerdì 30 dicembre 2022

GLI AUCIATI

  


Gli auciati sono dei taralli, semplici ciambelline rustiche, impastate con olio e vino, dal sapore semplice e gustoso, che si usavano fare per Natale, si fanno ancora oggi, ma sono in pochi quelli che hanno conservato la tradizione.

Sono citati anche in una strofa del Buchi Buchi, che i giovani mondragonesi cantavano il 31 dicembre,  andando di casa in casa a portare “ ru buon signale”, cioè la buona notizia della nascita di Gesù Bambino. 

 “ Ru patron de sta casa 

mo ce la caccia na bona spasa

 d’auciati e susamiegli 

e na vintina de carliniegli” ( I carlini erano monete dell’epoca). 

D’auciat e cu lu vin 

Ce ra pur tre carlin”

Per  chi vuole  vuole provare a farli, posto la ricetta:

INGREDIENTI: un litro di olio di arachidi – un litro di vino bianco – un cucchiaio di sale fino – 2 buste di pane degli Angeli – un cucchiaio di pepe – farina qb.

PREPARAZIONE: Mescolare alla farina il sale, il pepe, il lievito, fare la fontana e al centro mettere il vino e l’olio. Impastare il tutto e lasciar riposare un’ora. Formare dei cordoncini e chiuderli a forma di ciambellina. Si possono anche  intrecciare  i cordoncini,  arrotolandoli su se stessi, ovviamente se piace.  Cuocere a 180° fin quando non arrivano a doratura.

giovedì 29 dicembre 2022

RU BUCU BUC: IL CANTO TRADIZIONALE DI FINE ANNO

Tanti anni fa, la sera del 31 dicembre, giorno dedicato a san Silvestro, alcuni gruppi di giovani, muniti di strumenti musicali semplici costruiti per lo più da loro stessi, quali triccaballacche, tammorre, buchi buchi e qualche fisarmonica, si recavano di casa in casa ed eseguivano un canto tradizionale di fine anno: il buco buco, con il quale formulavano gli auguri di buon anno e a portavano “la buona notizia” della nascita di Cristo, chiedendo in cambio di ricevere la “nferta” in natura e in denaro. Era davvero una bella tradizione, un momento di aggregazione sociale che riusciva ad affratellare tutti, nello scambio degli auguri e nella speranza di un futuro migliore. Purtroppo questa festosa e allegra tradizione è scomparsa da noi mentre viene mantenuta ancora in vita a Sessa Aurunca e in tutte le sue frazioni.
Il buco buco è un tamburo dal suono basso e cupo, costituito inizialmente da una pentola di coccio, sulla quale veniva distesa una membrana animale( ad es. la vescica del maiale), legata con uno spago. Al centro poi veniva praticato un piccolo buco attraverso il quale si infilava una canna, che dopo essere stata inumidita, produceva, grazie alla frizione dall’alto verso il basso, il suono tipico del contrabbasso.
La pentola di coccio, che fu sostituita poi con un contenitore di legno o di latta, faceva da cassa di risonanza. I bucobuchisti per evitare di scorticarsi il palmo della mano utilizzavano un panno umido per frizionare la canna.
Questo è il testo del canto che alcuni ancora ricordano:

Buchi buchi santu Suluviestr
La scrippella sta sott o tiest
(Ru tiest e ru tian
E buchi buchi mast’Aitan ) Rip. 2 v
Stella stella assaje lucent
Che ri re Maggi accompagnast
(Ma li Giurei de Gerusalemm
Nun arrivavan a camminare ) Rip 2 v.
Nui simm poveri poveri
Ne venimm da Casoria
(Casoria e Messina
Simm poveri pellegrini ) Rip. 2 v.
Nuje ne venimm da luntan
P v purtà chistu buon signal
(Si permess vuje ce rat
Quanta cos che ve raccuntamm) Rip. 2 v.
Simm stat in quella rotta
Addò è nat ru Divin Agnell
Rent a ru cor de la mezzanotte
Tra ru bov e l’asinell
(Quann ru vuagli(o) stev cantenn
Gesù Crist stev nascenn) Rip. 2 v.
Ru patron d sta casa
Mo ce la caccia na bona spas
D’auciat e susamiegli
E na vintin de carlinieglj
(D’auciat e cu lu vin
Ce ra pur tre carlin ) Rip. 2 v.
Che grand’ onor ch’amm avut
Rent a sta cas simm trasut
(vuje penzat e teniteci a mment
che simm figli de bona gent) Rip. 2 v.
Ve venimm a salutare
L bbon fest v venimm a dare
Assì la ‘nfert ce mettit annanz
Facitacell priest e abbundant
(Facitacella cu l trezz
e cu tutt l cuntentezz). Rip 2 v.
Fate presto, fate presto e non tardate
Che nuje avimm da camminare
( V’auguramm bon fine d’anno
E nu buonissimo Capodanno). Rip. 2 v.




domenica 25 dicembre 2022

RI CUCUZZ DA VIGILIA

I cucuzzi sono le bucce del  giallo essiccate e mangiate fritte alla Vigilia di Natale. Sono un piatto gustoso della cucina mondragonese,  una ricetta  della cucina povera e di recupero, espressione della creatività delle donne del nostro paese, che hanno saputo trasformare le bucce di melone in un bel piatto da presentare in bella mostra sulla tavola della Vigilia.

Fare i cucuzzi,  a Mondragone, è una tradizione che persiste ancora,  ma che va scomparendo. 

Per chi si volesse cimentare nell’operazione, bisogna ricordare che in estate, quando si mangiano i meloni gialli, anziché buttare  le bucce delle fette di melone, se ne elimina la parte gialla più esterna  con il coltello e quello strato di polpa che vi era attaccata, si taglia al centro in senso verticale in modo da ottenere due striscioline, ancora attaccate in cima in modo da poterle appendere sul filo del bucato per farle seccare. Si ripete quest’operazione ogni volta che si mangiano i meloni. Quando le bucce sono tutte secche , si mettono per un po’ nel forno caldo ma spento per eliminare qualche residuo di umidità e per non farle ammuffire. 

IL giorno prima della Vigilia si mettono a bagno per una notte per farle rinvenire, poi si lessano fino a farle intenerire. 

Quando sono fredde,  si infarinano e si friggono in olio d semi .

 Si prepara poi una salsetta, facendo bollire acqua,  aceto e aglio ( 2 bicchieri di acqua e uno di aceto), appena incomincia a bollire,si spegne e si versa sui cucuzzi per farli insaporire. 

Li chiamavano “le anguille dei poveri”, riferendosi a quelle persone che non potevano comprare le anguille ma che le  sostituivano con questo  piatto altrettanto gustoso.







lunedì 19 dicembre 2022

LE FICUSECCH DE NATAL

    


Il Natale è quasi alle porte e ci apprestiamo a celebrarlo degnamente, come sempre, tra sacro e profano.

Con canti e preghiere invochiamo la venuta del Salvatore ma ci prepariamo anche con luci, alberi e presepi e quant’altro perché anche la rappresentazione esteriore con la sua bellezza contribuisce a creare un legame tra queste due realtà, che sembrano così lontane e che pure insieme danno vita ad un’essenza vera, concreta e tangibile.

Sulla tavola di Natale, poi, niente deve mancare: baccalà, pesce, dolci tipici, frutta secca ecc.

E siccome il sacro richiama sempre il profano e viceversa, la frutta secca mi riporta in mente un episodio dello scorso Natale, che mi è rimasto impresso.

Il giorno della Vigilia di Natale è venuto un amico di mio marito a farci gli auguri.

In realtà, loro due sono amici d’infanzia, hanno frequentato insieme la scuola elementare; poi, con il tempo si sono un po’ persi di vista, ed ora, ultrasettantenni, si sono ritrovati a frequentare lo stesso circolo per anziani.

Ci ha portato in dono un cestino di fichi secchi, dicendo: - Abbiamo molti alberi di fichi in campagna e per non farli andare a male, li facciamo secchi per Natale. E poi ha aggiunto: - Sai, io mi ricordo sempre quando ti venivo a chiamare per andare a scuola e la tua mamma mi dava i fichi secchi.

Ecco, in realtà, era per quello che era venuto, per ricambiare quel gesto affettuoso di tanti anni prima, che non aveva mai dimenticato.

E’ stato per noi un dono gradito e inaspettato, che mi ha fatto pensare a quanto può valere un gesto affettuoso nella vita di una persona, così come può pesare un gesto senza amore.

E’ proprio vero che nella vita tutto passa, solo il bene resta, è proprio così. Il bene che facciamo, eco e riflesso di un altro Bene, più grande, che tra poco nascerà proprio per insegnarci ad amare e che arriverà ad immolarsi per noi.

Tornando al profano, i fichi secchi affondano la loro tradizione nella cultura contadina di una volta.

A Mondragone ce n’è stata sempre grande abbondanza perché in campagna ce n’erano tanti di questi frutti e oltre a mangiarli in estate, si seccavano al sole per conservarli per l’inverno.

Si stendevano su una superficie aerata e si rigiravano di tanto in tanto, poi si infornavano per un po’, dopo la cacciata del pane, a forno tiepido, per non farli scurire troppo.

Nelle case contadine c’erano sempre, si davano ai bambini come caramelle, si mangiavano anche come spuntino, tra un pasto e l’altro.

Ricordo quando mia zia chiamava mio cugino per qualche commissione, magari per mandarlo a comprare qualcosa e lui diceva: - Se mi dai i fichi secchi, ci vado! Prima si riempiva le tasche, il golosone, e poi andava

martedì 13 dicembre 2022

QUANN VEN NATAL

  Il racconto è tratto da "La fantasia e il mito" del prof. Pasquale Schiappa

Al centro di questa storia, paradossalmente divertente, spicca non solo la stupidità della moglie che,  a causa delle  insufficienti capacità intellettive,  incorre in un equivoco ma anche il comportamento disonesto di un furfante che approfitta della situazione e la brutale aggressività del marito. 

 Un contadino aveva una moglie un po’ ritardata, che gli combinava sempre qualche guaio. Nel mese di agosto, alla fiera di S. Bartolomeo,  comprò un maialino da allevare e da ammazzare poi, nel mese di gennaio, appena dopo Natale, secondo l’usanza mondragonese. 

Passato qualche mese,  il maiale incominciò ad ingrassare a vista d’occhio e la moglie chiese  al marito: - Quann r’accerimm a ru puorc? E lui: - Quann ven Natal!  La povera donna, credendo che Natale si riferisse al nome di una persona, il giorno dopo, quando il marito andò in campagna, si mise alla finestra e a ognuno che passava, chiedeva: - Ne cumpà, ma si tu Natal?  I passanti che la conoscevano, dicevano di no e tiravano dritto .

 Purtroppo però, passò di là anche un poco di buono che,  alla domanda della donna, rispose  che era lui Natale. 

 Allora lei , tutta felice, disse: - Allor tras e accirimm a ru puorc, pecché maritm e i(o)  è da tant che te stamm aspettà!  Il furfante entrò in casa, ammazzò il maiale e ne portò via la maggior parte , lasciando poco e niente alla donna. Quando a sera tornò il marito, la moglie gli corse incontro tutta contenta. Lui, vedendola tutta eccitata, chiese: - Che è succies?   E lei: - Assi sapiss, è venut Natal e ammu ‘ccis a ru puorc! 

 Il marito, rendendosi conto dell’accaduto, l’aggredì: - Sta disgrazziat!  disse e la riempì di botte. La poverina, che non si aspettava una reazione del genere, scappò via, rifugiandosi in casa di parenti.

 Costoro, vedendola tutta livida e sanguinante le chiesero cosa fosse successo  e lei raccontò l’accaduto. Alla fine aggiunse: - Eh, chigliu disgrazziat, ma vattut e ma cacciat for? Ma iss nun sap mo che r’adda succer!  E  tirando fuori una padella da sotto al grembiule , aggiunse: - Mo voglio  veré che se ne fa de ru puorc senza a sartania! 



giovedì 8 dicembre 2022

L’ACQUA ALLA FONTANA

QUANDO SI ANDAVA A PRENDERE L’ACQUA ALLA FONTANA

Molti ricorderanno che prima di avere l’acqua corrente in casa, si andava a prendere l’acqua da bere alla fontana, ce n’erano diverse a Mondragone, dislocate in vari punti. Una si trovava a Piazza S. Francesco, proprio dove ora si trova la statua del Santo, a Sant’Angelo ne è rimasto ancora un esemplare.

Oggigiorno, per trovare una soluzione al consumo di plastica e di CO2 si ipotizza di tornare a prendere l’acqua alla fontana, ognuno con i propri contenitori.

Per questo sono nate le Casette dell’acqua, presenti anche a Mondragone. Sono pubbliche postazioni , che erogano acqua potabile di qualità, sono la versione moderna delle fontane pubbliche di una volta, ma non mi sembra che abbiano avuto molto successo.

Quando si andava a prendere l’acqua alla fontana, a volte, bisognava fare la fila perché c’erano diverse persone ad aspettare e potevano sorgere diverbi.

A tale riguardo, Enzina, un’ottantenne di buona memoria, mi ha riferito degli episodi che ci fanno conoscere più nel dettaglio episodi della vita paesana di un tempo, che non sempre scorreva pacifica.

Sua nonna Vincenzina, raccontava che quando era ragazza, una volta era andata alla fontana per attingere l’acqua e un uomo prepotente l’aveva strattonata in malo modo, dicendo: - Lev(a)t tu, c’aggia vench’io! La ragazza ci era rimasta molto male e mentre lui riempiva , lei gli aveva tirato la cannata in testa e se ne era scappata.

Da quel giorno in poi , quando andava alla fontana, nella tasca del grembiule, che si usava indossare sull’abito per non farlo sporcare, portava sempre un paio di forbicine, come arma di difesa. In quelle stesse tasche, poi, facendosi anziana, avrebbe portato solo caramelle e fichi secchi per i bambini.

Sempre Enzina racconta che a Viale Margherita, sul lato sinistro, nei pressi della macelleria D’Addio, prima della chiesa di San Rufino, c’era una fontana con una vasca sotto.

Lì vicino abitava un tale di nome Pauluccio, un po’ abbonato, che, quando andava alla fontana , voleva essere sempre il primo a riempire la cannata.

Allora per passare avanti diceva: - Aggia vench prim io pecché teng ri puciniegli sott a cov! E se qualcuno dissentiva, subito esclamava: - O’, vuò veré che te tir ru zuoccl ‘ncap? Detto fatto, mentre lo diceva già l’aveva fatto.

Per questo quando lo vedevano arrivare, gli cedevano il posto senza obiettare.

Succedeva questo ed altro per le vie dell’antico borgo….
Grazie, come sempre, a Clara Ricciardone