lunedì 23 agosto 2021

Chi d’aust nun s’è vestuto

Chi d’aust nun s’è vestuto

Ru malanno r’è venuto

E cioè “Si è ammalato di sicuro chi non ha provveduto ad approvvigionarsi dei tessuti per il confezionamento degli indumenti necessari per affrontare il rigore invernale”.
Con questo detto si fa chiaro riferimento alla Fiera di san Bartolomeo, che si svolge a Mondragone il 23, 24 e il 25 agosto. Per la comunità si tratta di un allettante richiamo, quasi un rituale, che si ripete ogni anno; non c’è Mondragonese che rinunci, in quei giorni, a farvi una capatina , tra il frastuono, le luci, la folla e le mille offerte commerciali che abbondano sulle bancarelle con gli oggetti più disparati, dall’abbigliamento ai giocattoli, ai capi di corredo, alle pentole ecc.
La Fiera sta ad indicare, anche, dal punto di vista meteorologico, la fine dell’estate e l’arrivo dei primi acquazzoni.
Le fiere, nel passato, costituivano un importante mezzo di scambio tra i popoli; esse ebbero un grande sviluppo nel Medio Evo; re e principi concedevano l’esenzione da dazi e gabelle, rendendo così convenienti i prezzi delle merci. Questo privilegio creava l’afflusso dei compratori anche dai paesi vicini, attratti dalla possibilità di risparmiare.
La nostra Fiera ha origini molto antiche , non si sa con precisione in quale epoca fu istituita , ma sicuramente nacque quando il paese cominciò a diventare un importante centro di Terra di Lavoro, situato in una favorevole posizione geografica tra l’Appia e la Domitiana e costituiva un’ importante occasione di approvvigionamento di prodotti spesso rari.
Della Fiera si hanno notizie già nell’ “Apprezzo dei beni” del 1691, come si legge in “Dettagli di storia mondragonese” di P. Sorrentino.
( “L’Apprezzo” fu stilato a seguito della morte, avvenuta nel 1689, di Nicola Carafa, ultimo dei duchi Carafa, che governavano Mondragone dal 1461; non avendo questi lasciato eredi, il feudo tornò ad essere regolare proprietà del re di Napoli e quindi della regia corte di Madrid e da questa fu messa all’asta per sovvenzionare le spese di guerra. Per procedere alla regolare vendita di tutto il feudo fu stilato un apprezzo dei beni in esso presenti. Qualche anno dopo le terre di Mondragone e di Carinola furono acquistate dalla famiglia genovese dei Grillo, marchesi di Clarafuente. I Grillo furono duchi di Mondragone fino agli inizi dell’800, quando furono spodestati con la legge napoleonica sull’eversione della feudalità e i loro beni venduti al Comune di Mondragone).
Dall’ “Apprezzo” si evince che sulla marina di Mondragone si svolgeva un importante evento socio-economico , ossia la Fiera di san Bartolomeo. Questa vivace manifestazione si teneva nel mese di agosto e durava tre giorni , si svolgeva oltre che sulla marina , dove giungevano barche persino dalla Sicilia, anche nella piazza della cittadella, dove si vendevano principalmente prodotti di merceria. La Fiera rappresentava un evento commerciale , sociale e politico di primaria importanza . La sua rilevanza è attestata dal fatto che per tutta la sua intera durata si eleggeva il “mastro di fiera”, che in quel frangente sostituiva il Duca nell’amministrazione della giustizia.
Della Fiera ci riferiscono anche Luca Menna, notaio carinolese nel suo “Saggio istorico della città di Carinola”, del 1848, e monsignor Giovanni Diamare, vescovo di Sessa Aurunca, in “Memorie storico-critiche della Chiesa di Sessa Aurunca” del 1906.
Ambedue affermano che la Fiera fu dedicata inizialmente a S. Rufino, il vescovo capuano, la cui festività ricorre il 25 agosto. Pare che il culto di S. Rufino risulti essere il più antico che la popolazione di queste terre abbia professato verso un Santo. A lui fu dedicata una chiesa e nel giorno della sua festa si introdusse una piccola fiera (era usuale, all’epoca, che le fiere si svolgessero in occasione di feste religiose). La Fiera, ingranditosi con il tempo, fu detta poi di S. Bartolomeo, la cui festività ricorre il 24 agosto.
La Fiera di S. Bartolomeo, in passato, è stata una Fiera importante della Campania, difatti vi partecipavano commercianti provenienti da vari paesi, richiamava una grande moltitudine di gente che veniva da lontano per cui si improvvisavano perfino cucine all’aperto; il corretto svolgimento delle operazioni commerciali era tutelato da apposite norme e l’intera organizzazione era sottoposta alla vigilanza del rappresentante del duca.
In tempi più recenti, come molti ricordano, il 23 e il 24 agosto, a Croce di Monte, lungo la via Appia antica, nei pressi della chiesetta di san Rocco, si svolgeva una Fiera degli animali, perlopiù cavalli, asini, mucche e maiali, visto che allora era importante allevare animali sia per la macellazione che per l’aiuto nella coltivazione dei campi e per il trasporto.
Con l’avvento della motorizzazione essa venne a perdere l’importanza di una volta poiché gli animali erano ormai sostituiti dall’uso di macchine agricole e si trasformò in una Fiera esclusivamente di maiali.
Quasi tutti i Mondragonesi andavano a comprare il maialino alla Fiera da allevare per macellarlo poi nel mese di gennaio. Da quando poi si è persa l’usanza di allevare il maiale in paese perché non consentito dalle norme igienico sanitarie, la Fiera degli animali è scomparsa definitivamente.
Alla Fiera, che si svolgeva, invece, in paese, nella zona del mercato, si usava comprare il corredo per la sposa: lenzuola , lana per i materassi, pentole e recipienti vari in rame.
Con il passare del tempo si sa che i prodotti le tendenze cambiano: è scomparsa la lana per i materassi, le pentole in rame sono state sostituite da altre in metalli più moderni. Negli anni’60, ad esempio, era predominante la vendita dei giocattoli: le bambole per le bambine e le pistole per maschietti per cui nel periodo della Fiera nei vicoli e nei cortili stuoli di ragazzini si divertivano a rincorrersi , sparando e infastidendo non poco il vicinato. Oggigiorno vanno per la maggiore i grembiuli per la scuola, gli zaini, borselli ecc.
Occorre ricordare, infine, che la Fiera, un tempo, era considerata una scadenza importante nel corso dell’anno perché coincideva con la fine del raccolto. Infatti c’era l’usanza , in quella occasione, di pagare l’affitto delle terre e di saldare i debiti contratti per cui ancora oggi, quando una persona ritarda nel pagamento, qualcuno usa dire ancora scherzosamente: - Ma quann me paghi? A fierjia?
Negli ultimi anni si è cercato di ripristinare la Fiera che ormai non ha più l’importanza economica di una volta ma costituisce soprattutto un’attrattiva folcloristica, un mercato più ampio di quello domenicale.



lunedì 16 agosto 2021

“A Santu Rocc ogni fica scopp”

Così recita il detto mondragonese per indicare che è proprio nel periodo della festa di San Rocco, che ricorre il 16 agosto, che maturano i primi fichi.( Era usuale, un tempo, collegare gli aspetti più svariati della vita contadina ai Santi, si diceva ad esempio: A San Martin ogni must divent vin, A Cuncett Natal diciassett , a Sant’Anieglio nu pass d’ainieglio ecc. )

C’è anche il detto “Santu Rocc e ru cacciuttiegli(o)” con cui si è soliti indicare due persone che vanno sempre insieme, formando per così dire una coppia, nella quale uno dei due segue sempre l’altro con grande fedeltà e devozione, prerogative proprie di un cane che segue il suo padrone.
Il detto prende spunto da un episodio della vita del Santo, che si prodigò molto per curare gli appestati. Alla fine si ammalò lui stesso e si rifugiò in una grotta, dove un cagnolino, suo fedele compagno, gli portava da mangiare, rubando ogni giorno una pagnottella dalla mensa del suo padrone.

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Culto di S. Rocco a Mondragone

Culto di S. Rocco a Mondragone e alla cappellina a lui dedicata nella masseria cosiddetta di “S. Rocco”, mi fa piacere condividere con voi le interessanti notizie, ottenute grazie alla preziosa testimonianza di Antonio Pompeo, che ringrazio.
La masseria fu costruita dalla famiglia Palumbo ai primi dell’ ‘800 e questa data è incisa sul marmo in un punto dell’aia. Pietro Palumbo, il proprietario, dopo avervi vissuto con la sua famiglia, per circa 20 anni, la dovette vendere con tutti i terreni annessi ad un suo amico, don Antonio Greco, a causa di un incidente in cui un bambino perse la vita, investito dal suo calesse. In seguito, negli anni ’20 il sig. Greco chiese a Giovanni Palumbo, nipote di Pietro, se voleva abitare nella masseria e coltivarne i terreni in cambio di una mezzadria molto bonaria, poiché, essendo essa stata abbandonata, era diventata improduttiva e stava andando in malora. Giovanni accettò e vi si trasferì appena dopo sposato. Lì sono nati i suoi figli, tra cui la madre di Antonio Pompeo, ed è rimasto lì fino al 1962. Antonio, cresciuto nella masseria fino a 6/7 anni, ricorda quando nel giorno di S. Rocco, si faceva una grande festa sull’aia e sua nonna , Rosaria Piglialarmi preparava le pagnottelle, che faceva benedire dal prete e che venivano distribuite gratis a tutti. Durante la seconda guerra mondiale, la masseria, data la strategicità del punto in cui era situata e da cui si poteva controllare l’accesso a Mondragone, venne usata come comando militare prima dai Tedeschi e poi dagli Inglesi. Purtroppo in essa ci fu anche lo scoppio di una bomba in cui rimasero feriti alcuni componenti della famiglia Palumbo.
Grazie all’opera di Emilio Cattolico, oggigiorno, al posto della masseria sorge la bellissima Villa Petrinum, struttura composta da un Bed and Breakfast e da un Ristorante, che permette di gustare le tante prelibatezze e prodotti tipici del nostro territorio.


sabato 14 agosto 2021

LA FESTA DELL’ASSUNTA


LA FESTA DELL’ASSUNTA TRA FEDE E TRADIZIONE

E’ tradizione, a Mondragone, da molti anni a questa parte, festeggiare la Madonna Assunta con una suggestiva cerimonia, istituita nel 1979 dal parroco don Franco Alfieri, conosciuta come “Lo sbarco dell’Assunta”.
La domenica precedente il 15 agosto, all’imbrunire, i pescatori trasportano in barca la statua dell’ Assunta dalla Baia Azzurra al piazzale Conte; un corteo di barche la segue e man mano che tutte avanzano, i proprietari dei lidi balneari fanno sparare in onore della Madonna spettacolari fuochi d’artificio.
Vedere dalla spiaggia le luci tremolanti delle barche che avanzano nell’acqua sotto lo scoppiettante sfolgorio dei fuochi pirotecnici è un’emozione unica, uno spettacolo incantevole; è diventato, nel tempo, un evento che caratterizza l’estate mondragonese, molto atteso dalla popolazione tutta e dai turisti, un avvenimento in cui la religiosità si mescola a una tradizione spettacolare e fantasmagorica.
Anche nel passato la festa della Madonna Assunta era molto sentita e si svolgeva in una cappella situata in fondo al viale Margherita.
Il 14 agosto c’era l’usanza di portare in processione la statua dell’Assunta dalla chiesa di san Francesco fino alla cappella sulla spiaggia; si poneva la statua nella cappella e dopo una notte di veglia e di preghiere veniva riportata al luogo di partenza il giorno successivo.
Era usanza che quando la processione passava, al ritorno, davanti allo stabilimento Cirio, il proprietario facesse una sostanziosa offerta in denaro e in botti.
Con il passare del tempo la Madonna fu festeggiata nella chiesa parrocchiale di san Rufino in via Campanile. Nel 1962 fu costruita una chiesa più grande in viale Margherita, sempre in onore di san Rufino, che ospitò definitivamente l’Assunta. Nel giorno della festa, poi, il viale Margherita, anche se c’erano poche case, si animava con le luminarie, con i venditori di bambole, le “pupate”, ma soprattutto con le famiglie, che in questo giorno speciale, lo affollavano per andare a mangiare sulla spiaggia, di sera, portando il “cufunieglio” pieno di cibarie: il pollo, la parmigiana di melanzane, il vino, il cocomero ecc.
Anche se qualcuno si lamentava perché, se non si stava attenti, la sabbia poteva contaminare il cibo, mangiare al chiaro di luna sulla spiaggia, al mormorio delle onde creava un’atmosfera magica , di grande sintonia con la bellezza della natura circostante, un’emozione impagabile e suggestiva.
Nessuno faceva il bagno in questo giorno perché veniva visto come una mancanza di rispetto verso la Madonna e si pensava che ciò potesse essere causa di disgrazie e di annegamenti.
Anticamente si rispettava il giorno della vigilia, mangiando solo pane e cocomero e c’era anche la pia pratica delle 100 Croci e delle 100 Ave Maria. Nei vicoli e nei cortili si vedevano gruppetti di donne sedute con la corona in mano recitare una preghiera antica , che tuttora si recita anche in molte zone del sud Italia:
Fauz nnemmico fatti llà
Cu miche nun ai che ce fa
Oggi è ru juorn de la Vergine Maria
Me faccio 100 Crucie e 100 Ave Maria
Nemico falso, vai via
Tu con me non niente a che vedere
Oggi è il giorno della Vergine Maria
Mi faccio 100 Croci e (recito) 100 Ave Maria
Ad ogni Ave Maria si ripeteva la preghiera e ci si segnava con il segno della Croce, per 100 volte, l’equivalente di due Rosari.
La preghiera risale al periodo in cui i Turchi nella loro politica espansionistica, presero di mira l’Europa. Un anno dopo la conquista dell’isola di Cipro, papa Pio V , preoccupato della loro incessante avanzata, promosse una Lega di principi cristiani, atta a contrastarli. Le forze navali della Lega si scontrarono con la flotta turca, nelle acque di Lepanto, il 7 ottobre 1571, riportando la vittoria.
Il papa istituì, in ricordo di essa, la festa di Santa Maria della Vittoria, trasformata poi, in Santa Maria del Rosario dal papa successivo, Gregorio XIII perché i Cristiani attribuirono il merito della vittoria alla protezione di Maria, che avevano invocato, recitando il Rosario, prima della battaglia. Era stato lo stesso papa Pio V a chiedere che i soldati avessero la corona per recitare il Rosario.
Del culto del Rosario si fecero zelatori i Domenicani, essendo la Madonna del Rosario apparsa a san Domenico nel 1208 . Nacque una preghiera di introduzione al Rosario, che si chiamava 100 Croci e 100 Ave Maria, con chiaro riferimento alle croci della Lega Santa e a suffragio delle anime dei Cristiani periti nella battaglia di Lepanto, oltre 7500 contro gli oltre 30000 Turchi.


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mercoledì 11 agosto 2021

AL CHIAR DI LUNA

Tanto tempo fa, nel mese di agosto, nel periodo in cui nella campagna le piante di fagioli sono ormai secche e vanno scavate, una ragazza del rione san Francesco, di nome Iduccia, andò a chiedere per conto di una sua zia , a quattro amiche del vicinato, se volevano andare a fare la “matinata”, cioè a scavare i fagioli. (Era chiamata la “matinata” perché si lavorava solo per alcune ore del mattino, non tutta la giornata, il compenso ovviamente era un po’ inferiore) Iduccia era una ragazza simpatica e benvoluta nel vicinato, dal carattere allegro e irruente, ma imprecisa e poco attenta nel comportamento, si direbbe un po’ grossolana. Le ragazze chiesero il permesso ai genitori, i quali acconsentirono.
Nell’antica società contadina anche le ragazze andavano “a giornata” e percepivano il compenso; aiutavano nei lavori agricoli meno pesanti come scavare i fagioli , raccogliere i fagiolini , i pomodori, il granturco, tagliare l’uva mentre c’erano lavori più pesanti destinati agli uomini come mietere il grano, zappare, prussiare (arare) ecc.
Le amiche si accordarono per il giorno dopo, ovviamente bisognava andare presto, prima dell’uscita del sole, altrimenti avrebbe fatto troppo caldo ma anche perché le piante ormai secche andavano scavate con l’aria fresca e con l’umidità della notte altrimenti sotto il sole forte si sarebbero frantumate, facendo fuoriuscire tutti i fagioli, che sarebbero andati persi, cadendo nel terreno.
La sera le ragazze andarono a letto presto sapendo che si dovevano alzare di buon mattino. Avevano fatto appena qualche ora di sonno che si sentirono chiamare da Iduccia sottovoce per non svegliare gli altri che dormivano. I genitori che erano già al corrente, pur avendo sentito, continuarono a dormire.
Si alzarono in fretta ma nessuna guardò l’orologio tantomeno l’aveva guardato Iduccia. Si avviarono a piedi ed era talmente buio che solo con la luce della luna riuscivano a vedere dove andavano.
Il fatto strano era che per la strada non incontrarono anima viva, né un carretto che si avviava in campagna né qualcuno a piedi; d’altra parte, erano tempi tranquilli e non c’erano i pericoli di adesso.
Tra una chiacchiera e l’altra raggiunsero la zona di Pantano, dove si trovavano i terreni della zia.
Arrivate a destinazione, si misero subito al lavoro , scavavano le piante di fagioli e poi li ammucchiavano ordinatamente per quando sarebbero venuti a caricarli.
Era talmente buio che solo con la luce della luna riuscivano a vedere le piante da scavare . E scava e scava il lavoro sembrava non finire mai, erano ben due moggi di terreno.
Ogni tanto guardavano in alto e si chiedevano come mai il sole tardasse tanto a spuntare ma niente, la luna era sempre lì a far loro compagnia, non se ne voleva proprio andare.
E dagli e dagli, si dettero tanto da fare da finire tutto il lavoro. Quando si incamminarono per tornare a casa,incominciava a spuntare l’alba e si vedeva arrivare qualche carretto, videro anche la zia che arrivava a piedi e che chiese loro perché se ne stessero andando, visto che dovevano scavare i fagioli.
Quando loro risposero che avevano già fatto tutto, la zia le guardava incredula, le ragazze si guardavano tra di loro tutte stralunate, infine si rivolsero a Iduccia: - Ma se po sapé a che or ce venut a chiamà? Nuje t’ammu ritt vers l tre, l quatt!
E lei: - Aé , ma che jate truvenno, le tre , le quatt, le cinche, ma che ne saccio mò !
E qualcuna disse: - Ma sta scelita! Invece da matinata ce fatt fa a nuttata ‘ncampagn?Ah,che te pozzeno! E tutte a ridere.
Quando arrivarono a casa le mamme che si erano rese conto dell’errore , si fecero trovare sull’uscio di casa tutte preoccupate e arrabbiate. – Qualcuna di loro disse: - Ma si può sapere a che ora ve ne siete andate? Guai a voi se un’altra volta andate appresso a quella lì!
Ma tutto finì lì, non fu data al fatto più importanza del dovuto; l’episodio, però, restò ben impresso nella memoria delle amiche di Iduccia.

Ringrazio vivamente la sig.ra Vincenzina Marta per avermi raccontato questo simpatico aneddoto.

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lunedì 2 agosto 2021

O’, MA CHE STAJE ASPETTA’, L PAST?!

A Mondragone, quando qualcuno vuole invitare una persona ad andar via perché vede che indugia o semplicemente per fargli capire che sta perdendo troppo tempo, che si deve sbrigare e andare oltre, gli dice, con quella franchezza ironica e un po’ sorniona che ci deriva dalle nostre origini contadine ma che tutt’oggi ci contraddistingue: - O’, ma che staje aspttà, l past?! e cioè: - Ehi tu, ma che stai aspettando, le paste?!

Il detto si riferisce ad un’usanza relativa alla promessa di matrimonio che si faceva una volta, “ru ra parol”. In tale occasione si usava fare un rinfresco, in cui venivano offerti dolci fatti in casa: i guanti e le pastette.
In passato i GUANTI erano i dolci che creavano subito quell’atmosfera di festa e di buon augurio, con cui si festeggiavano tutti gli avvenimenti gioiosi, quali il Battesimo, la Cresima, il Matrimonio ma anche la costruzione di una casa ecc. Bisogna ricordare che i guanti mondragonesi sono morbidi perché nell’impasto viene messo il latte e si distinguono dalle chiacchiere, che invece risultano croccanti perché nell’impasto viene aggiunto il vino bianco.
Le PASTETTE, invece, erano dei biscotti di pasta frolla ma con l’aggiunta di latte e poiché come agente lievitante si utilizzava l’ammoniaca, gonfiavano in cottura ed erano perciò più alti dei biscotti di oggi. Sopra venivano cosparsi di zucchero e decorati al centro con il chicco di caffè o la ciliegina o altro.
Proprio alla fine del rinfresco uscivano le paste, quelle dei pasticcieri, per intenderci, che allora erano quasi una rarità e che si vedevano solo in certe occasioni: morbidi babà profumati di rhum, sfogliatelle ricce e frolle, bigné ripieni di crema, deliziose contornate di noccioline, cannoli, zuppette ricoperte di candido zucchero al velo. Altro che guanti e pastette! Nessuno andava via prima di quel momento per non perdersi il bocconcino prelibato, anzi si creava un clima di grande attesa.
A tale proposito, ricordo che quando avevo sette/otto anni, in un portone vicino casa mia si stava festeggiando la promessa di matrimonio della figlia di un noto commerciante. Era di sera e c’era tantissima gente nel cortile, ad un certo punto entrarono degli uomini che portavano dei contenitori rettangolari di legno, che sicuramente contenevano le paste perché successe che i ragazzini, come impazziti, si lanciarono al loro inseguimento e, intrufolandosi tra le gambe, li misero tanto in difficoltà e procurarono un tale scompiglio che quelli sbatterono i contenitori a terra, imprecando di brutto e rovinando il clima festoso dell’evento. Non ricordo però se riuscirono a fermare quegli indiavolati ragazzini.
Ringrazio Raffaele Pacifico, che ha spiegato l’origine del detto, sciogliendo una volta per tutte l’enigma di quelle paste, che ritornano spesso nel nostro parlato quotidiano ma non si capiva mai cosa c’entrassero con il discorso. Si tratta, come vediamo, di reminiscenze del passato che ancora oggi riaffiorano, attraverso il linguaggio, nel nostro presente.

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