giovedì 29 aprile 2021

“Sta a passà ri vuaie de santa Catarina”

Si diceva così in passato quando ci si riferiva ad una persona che stava attraversando molte difficoltà nella vita, una dietro l’altra. Il detto si riferisce alla biografia della Santa, dalla quale risulta che fu costretta a subire molte ingiustizie ed angherie.

Santa Caterina nacque a Siena nel 1347, figlia di Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa, ventiquattresima di 25 figli; assieme a lei nacque una gemella che morì poco dopo.
Fin da bambina mostrò la sua vocazione religiosa: a sei anni sostenne di aver visto sospeso in aria nella basilica di san Domenico il Signore Gesù seduto in trono con san Pietro, san Paolo e san Giovanni, che la invitava a seguirlo; a sette anni, quando le bambine sono ancora ben lontane dal concepire una cosa simile, fece voto di verginità.
Ancora bambina volle rinunciare ai piaceri specialmente quelli legati al cibo e per evitare i rimproveri dei genitori, passava il cibo di nascosto ai fratelli o ai gatti di casa.
Verso i 12 anni i genitori presero accordi per maritarla come era costume all’epoca ma Caterina, ritenendosi già sposa di Cristo, si oppose con tutte le sue forze, si tagliò i capelli e si rinchiuse nella sua stanzetta a pregare. La madre, considerandola affetta da fanatismo giovanile, cercava di piegare la figlia con vessazioni pesanti e prolungate, costringendola a pesanti fatiche domestiche e trattandola più come una sguattera che come una figlia.
Un giorno il padre vide che mentre Caterina pregava, una colomba si posò sulla sua testa e percepì l’accaduto come una simbolica presenza dello Spirito Santo, si convinse che non si trattava di un’esaltazione della figlia ma di una vocazione sentita e sincera e dette ordine che nessuno più la ostacolasse nel suo desiderio.
A 16 anni le venne in sogno san Domenico e le assicurò che avrebbe presto indossato l’abito bianco con il manto nero delle monache, chiamate appunto “mantellate”. Spinta dal sogno, chiese di entrare a far parte dell’Ordine ma ne ebbe un rifiuto perché non erano ammesse vergini all’abito bensì solo vedove e donne in età matura e di buona fama.
Caterina fu colpita in seguito a ciò da altissime febbri e pustole che ne sfigurarono il volto e sosteneva che sarebbe morta se non l’avessero accettata. Le sorelle, mandatele in visita dalla priora, furono così impressionate dai lineamenti sfigurati dell’ammalata e dall’ardore con cui chiedeva di indossare l’ abito domenicano che l’accettarono a pieni voti e nel 1363, a 16 anni, nella basilica di san Domenico le fu dato l’abito dell’Ordine.
Visse per tre anni nella sua celletta in preghiera e la madre continuava a piangere quando la sorprendeva a flagellarsi, cingendo i fianchi con una catena di ferro e a nutrirsi solo di pane, erbe amare e acqua.
Nel 1367 al termine del Carnevale le apparve il Signore con la Madonna e i Santi e la sposò a sé nella fede, donandole un anello di rubini, visibile solo ai suoi occhi.
Da quel momento si sentì spinta a uscire dal suo ritiro per darsi alla vita attiva. Erano tempi in cui gli odi mortali, la peste e la lebbra facevano strage di corpi e lei entrava nelle case per mettere pace, nei lazzaretti e ospedali per servire, consolare, convertire e aiutare a ben morire.
Si formò attorno a lei la “Bella Brigata”, un gruppo di uomini e donne che la seguivano, la sorvegliavano nelle lunghe estasi, l’aiutavano nelle varie attività.
Durante le sue visioni mistiche Santa Caterina cadeva in estasi e dettava a un segretario ciò che Dio le rivelava. Da ciò nacquero i Dialoghi, veri capolavori della letteratura mistica medievale, che indussero papa Paolo VI a nominarla nel 1970 “dottore della Chiesa”.
Famoso è anche l’Epistolario, composto da 382 lettere che indirizzò a persone che si rivolgevano a lei per consigli di ogni genere ma anche a uomini importanti come politici, re e magistrati che lei ammoniva ed esortava.
La Santa andava in estasi anche appena riceveva la Santa Comunione e le sue estasi duravano anche tre o quattro ore tanto che quando il sacrestano non riusciva a svegliarla, volendo chiudere la chiesa, la portava fuori di peso ma molti dubitavano dell’autenticità del fenomeno tanto che una volta ad Avignone, una dama, volendo provare la verità, prese uno spillone e glielo conficcò nel calcagno e quando Caterina tornò in sé, avvertì un dolore atroce.
Molti dubitavano dei suoi carismi: per i suoi prolungati digiuni le sue stesse consorelle la consideravano un’ipocrita e un’esaltata. Ne dissero tante sul suo conto che religiosi e dottori di teologia si ritennero in dovere di esaminarla. La “vile donnicciola”, così la consideravano i cardinali, trionfò sempre dei sofismi di tanti inquirenti e delle persecuzioni delle dame di corte e nessuno mai riuscì a confonderla anzi quanti ebbero relazioni con lei si posero poi alla sua sequela.
La fama della sapienza e della santità di Caterina l’aveva messa in contatto con il mondo politico-ecclesiale. Si recò ad Avignone, ambasciatrice dei Fiorentini per una missione di pace e fu lei che diede al papa Urbano VI la spinta per il ritorno a Roma nel 1377.
I Domenicani preoccupati per la fama della Santa in un’epoca di eresie, nel 1374 , sei anni prima della morte, la chiamarono a Firenze davanti al Capitolo generale dei Domenicani ma i Superiori dell’Ordine ne riconobbero l’ortodossia e l’affidarono alla direzione del frate Raimondo delle Vigne di Capua, che diventò suo confessore e allo stesso tempo suo discepolo, che di lei lasciò una biografia che contribuì a diffonderne il culto.
Sfinita dalla fatica e dalle penitenze a cui si sottoponeva ( nell’ultimo anno si cibava solo della Comunione), morì a 33 anni, nella terza domenica di Quaresima, alle tre del pomeriggio.
La Santa ebbe una viva coscienza della sua missione nella Chiesa del suo tempo ed individuò con chiarezza alcuni obiettivi che riteneva voluti da Dio come il ritorno del Papato a Roma, la riforma del clero troppo mondanizzato e la pacificazione del mondo cristiano.
E’ stata proclamata compatrona d’Italia e d’ Europa e secondo la tradizione è la protettrice delle infermiere.




Nessuna descrizione della foto disponibile.

giovedì 22 aprile 2021

O’, MA CHE STAJE ASPETTA’, L PAST?!

 

"O’, MA CHE STAJE ASPETTA’, L PAST?! "

A Mondragone, quando qualcuno vuole invitare una persona ad andar via perché vede che indugia o semplicemente per fargli capire che sta perdendo troppo tempo, che si deve sbrigare e andare oltre, gli dice, con quella franchezza ironica e un po’ sorniona che ci deriva dalle nostre origini contadine ma che tutt’oggi ci contraddistingue: - O’, ma che staje aspttà, l past?! e cioè: - Ehi tu, ma che stai aspettando, le paste?!
Il detto si riferisce ad un’usanza relativa alla promessa di matrimonio che si faceva una volta, “ru ra parol”. In tale occasione si usava fare un rinfresco, in cui venivano offerti dolci fatti in casa: i guanti e le pastette.
In passato i GUANTI erano i dolci che creavano subito quell’atmosfera di festa e di buon augurio, con cui si festeggiavano tutti gli avvenimenti gioiosi, quali il Battesimo, la Cresima, il Matrimonio ma anche la costruzione di una casa ecc. Bisogna ricordare che i guanti mondragonesi sono morbidi perché nell’impasto viene messo il latte e si distinguono dalle chiacchiere, che invece risultano croccanti perché nell’impasto viene aggiunto il vino bianco.
Le PASTETTE, invece, erano dei biscotti di pasta frolla ma con l’aggiunta di latte e poiché come agente lievitante si utilizzava l’ammoniaca, gonfiavano in cottura ed erano perciò più alti dei biscotti di oggi. Sopra venivano cosparsi di zucchero e decorati al centro con il chicco di caffè o la ciliegina o altro.
Proprio alla fine del rinfresco uscivano le paste, quelle dei pasticcieri, per intenderci, che allora erano quasi una rarità e che si vedevano solo in certe occasioni: morbidi babà profumati di rhum, sfogliatelle ricce e frolle, bigné ripieni di crema, deliziose contornate di noccioline, cannoli, zuppette ricoperte di candido zucchero al velo. Altro che guanti e pastette! Nessuno andava via prima di quel momento per non perdersi il bocconcino prelibato, anzi si creava un clima di grande attesa.
A tale proposito, ricordo che quando avevo sette/otto anni, in un portone vicino casa mia si stava festeggiando la promessa di matrimonio della figlia di un noto commerciante. Era di sera e c’era tantissima gente nel cortile, ad un certo punto entrarono degli uomini che portavano dei contenitori rettangolari di legno, che sicuramente contenevano le paste perché successe che i ragazzini, come impazziti, si lanciarono al loro inseguimento e, intrufolandosi tra le gambe, li misero tanto in difficoltà e procurarono un tale scompiglio che quelli sbatterono i contenitori a terra, imprecando di brutto e rovinando il clima festoso dell’evento. Non ricordo però se riuscirono a fermare quegli indiavolati ragazzini.
Ringrazio comunque Raffaele Pacifico, che ha spiegato l’origine del detto, sciogliendo una volta per tutte l’enigma di quelle paste, che ritornano spesso nel nostro parlato quotidiano ma non si capiva mai cosa c’entrassero con il discorso. Si tratta, come vediamo, di reminiscenze del passato che ancora oggi riaffiorano, attraverso il linguaggio, nel nostro presente.
Nessuna descrizione della foto disponibile.

martedì 13 aprile 2021

QUANDO LA TRADIZIONE VINCE


QUANDO LA TRADIZIONE VINCE ….

L’uscita della Sacra Icona della Madonna Incaldana è prevista ogni 25 anni, viene portata in processione per le strade della città e in visita ai 36 casali , secondo la tradizione, salvo uscite per eventi straordinari: guerre, epidemie, eccessiva pioggia o eccessiva siccità ecc.
In una di queste processioni, appena dopo Pasqua, si doveva portare la Madonna a Falciano e i fedeli l’accompagnavano come sempre, con amore e devozione filiale. Arrivarono fino alle Crocelle quando ad un certo punto cominciò a piovere, poche gocce di una pioggerellina appena accennata.
Il sacerdote che guidava il corteo, forse pensando che la pioggia sarebbe aumentata, ordinò: - Mettiamoci in macchina e proseguiamo! I fedeli non erano d’accordo e, contrariati dissentivano e ne nacque una discussione animata, nella quale ognuno cercava di spiegare le sue ragioni.
Qualcuno disse:- Padre, mettetevi voi in macchina, noi dobbiamo portare la Madonna a piedi, secondo la nostra tradizione! E un altro: - Padre, ma la Madonna è coperta nell’autocappella, se ci bagniamo noi, non importa, è una penitenza che vogliamo offrire alla Madonna! – Niente affatto! - sentenziò il sacerdote ma il vociare aumentava e tutti si rifiutavano di eseguire l’ordine quand’ecco che all’improvviso sbucò fuori un ombrello e qualcuno lo tirò in testa al sacerdote. Fu un gesto non preparato né premeditato, assolutamente istintivo, a cui seguì un attimo di silenzio, di stupore e di costernazione.
Dopo qualche minuto la processione proseguì e tutti a piedi accompagnarono la Madonna; arrivati davanti al cimitero, ci fu l’ inchino ai nostri Morti con la recita dell’Eterno Riposo e poi proseguirono verso Falciano.
Ma chi era stato che aveva osato fare un gesto simile? Una donna, rimasta nell’anonimato, ma quello che è rimasto nella memoria dei Mondragonesi è stato il gesto, di sicuro poco edificante ma significativo.
Il vescovo, venuto a conoscenza dell’increscioso episodio, in chiesa esclamò: - Non si è mai vista una cosa simile!
Qualcuno che si trovava sull’altare chiese scusa a nome di tutti, ma qualcun altro, in privato, cercò di spiegare le buone ragioni dei Mondragonesi: - Noi abbiamo accompagnato sempre la nostra Madonna a piedi, sono secoli che si fa così e non si poteva stravolgere la nostra tradizione, noi volevamo fare il nostro sacrificio, stancarci e fare penitenza per Lei, perché sappiamo di essere peccatori, anche se facciamo tanti buoni propositi alla fine siamo sempre peccatori. Tutti hanno offerto la loro penitenza alla Madonna come segno di conversione per chiedere il sole, la pioggia, la fine delle guerre e anche noi volevamo fare lo stesso per dirle che le vogliamo bene, per chiedere perdono delle nostre mancanze e perché mai ci abbandoni!

Nessuna descrizione della foto disponibile.

sabato 10 aprile 2021

LE PROCESSIONI PASQUALI


LE PROCESSIONI PASQUALI

La comunità mondragonese è stata da sempre conservatrice di tradizioni, usi e costumi tramandati dagli antenati e le processioni pasquali ne sono un esempio.
Le processioni del Venerdì e del Sabato Santo , molto sentite e partecipate, sono proprio lo specchio del patrimonio religioso e culturale del nostro paese. Si ripetono invariate da secoli, anche se con aggiunte e modifiche e rappresentano momenti forti della religiosità mondragonese.
La MATTINA del VENERDI’ SANTO c’è una processione per così dire “tecnica”, in gergo mondragonese si dice: “jesceno ri Misteri” ossia alle ore 10, con partenza dalla chiesa del Giglio, vengono portate in processione le statue di Gesù Morto, dell’ Addolorata e della Pietà, detta delle Tre Marie. La statua dell’ Addolorata viene portata nella chiesa di san Francesco e quella di Gesù Morto e delle Tre Marie nella Chiesa Madre.
Nel pomeriggio, secondo la tradizione, si tengono le prediche delle tre ore di Agonia al Vescovado e della Desolata a san Francesco, una volta molto sentite dai fedeli.
La processione del VENERDI’ SANTO SERA , detta di Gesù Morto, viene organizzata dalla chiesa di S. Angelo; essa fu istituita dal parroco Verdolotti agli inizi del secolo scorso, nel 1911, come viene evidenziato dal prof. Raffaele Fiore. E’ un lungo corteo che inizia con la banda, seguita dai misteri commemorativi portati dai devoti ossia i simboli con cui si fa memoria del dramma di Cristo: quadri raffiguranti la sua Passione e Morte, corone di spine , croci e calici adornati di fiori, funi, flagelli; seguono le donne che, vestite di nero e a capo chino, portano il “lenzuolo”, simbolo di quello che avvolse il corpo di Cristo , e ancora i figuranti, che rappresentano personaggi storici che fecero parte della vita di Gesù: Pilato, il centurione, i soldati, le ancelle ecc.
Una lunga fila di donne vestite a lutto avanza lentamente con il capo coperto e chino, a volte a piedi scalzi, recando in braccio grossi e pesanti ceri: sono proprio loro che ogni anno esprimono in maniera viva e drammatica la sofferenza umana associata a quella di Cristo; ognuna con il suo dolore chiede a Lui di fare da intercessore presso il Padre, ognuna compie il voto per chiedere una grazia o per ringraziare del beneficio ricevuto.
Segue la statua di Gesù morto, preceduta dall’ Angelo, l’unico di tutta la processione, che rappresenta l’Angelo del Getsemani, che affiancò Gesù e lo consolò nelle ore estreme della sua vita. Ogni anno, per antica tradizione, l’Angelo, simbolo di bellezza e di purezza, deve essere assolutamente scelto solo ed esclusivamente tra le ragazze di s. Angelo. Questo antico “privilegio” innesca una certa gelosia tra gli abitanti degli altri rioni ed è per questo che nella processione degli Angioletti del sabato santo si vede sfilare anche qualche angelo grande simile a quello del venerdì sera.
Ai lati dell’Angelo, una volta, erano gli studenti universitari della FUCI ( Federazione Universitaria Cattolica Italiana) a scortare il Cristo Morto, con il caratteristico cappello goliardico a punta, dai diversi colori, a seconda della facoltà di studio intrapreso, tra due ali di folla, in religioso silenzio; usanza, questa, che con il tempo è andata perduta.
Di tanto in tanto la processione si ferma e nei punti cruciali del paese, nel silenzio assoluto, si sente risuonare il canto di una donna, di cui non si conosce l’autore, quasi un grido di pianto e di dolore, in grado di toccare le corde più intime di giovani o anziani:
Figlio mio
Dove sei?
Sei morto?
Ed io senza di te
Non sono più Madre
Maddalena,
sorella mia,
dov’è il tuo Maestro
che tanto amavi?
Dov’è il tuo Maestro
Che tanto ti amava?
Apostoli miei,
dov’è il vostro Maestro
che tanto vi amava?
E’ morto
Figlio mio
E io senza di te
Non sono più Madre
Per tanti anni la voce che ha fatto commuovere i Mondragonesi è stata quella della signorina Clarice Landi, sostituita dopo la sua morte dalla signora Maria Pisano, seguita poi da una giovane e poi da altri giovani ancora che portano avanti la nostra tradizione.
La statua di Gesù Morto, poi, viene portata a spalle da quattro ministranti. Infine il gruppo statuario del Calvario, composto dalla Madonna, dalla Maddalena, abbracciata alla croce e da Giovanni, il discepolo prediletto, viene sostenuta dalle spalle dei devoti e dietro di essa seguono le autorità civili e poi tutto il popolo.
IL SABATO SANTO MATTINA ha luogo la processione degli Angeli, che parte dalla chiesa Madre e termina alla chiesa del Giglio: file interminabili di bambini, raffiguranti gli Angeli, accompagnati secondo la tradizione, da padrini e madrine ma anche da genitori o parenti; bambini raffiguranti il Gesù della Passione, vestito di rosso, coronato di spine, recante la croce oppure Gesù nell’Orto degli Ulivi con il calice in mano o ancora Gesù risorto con il vestito bianco e la fascia azzurra e la crocetta in mano; bambine e ragazze che impersonano l’ Addolorata o la Veronica, bambini raffiguranti san Michele Arcangelo, a cui si sono aggiunti nel tempo i Santi della devozione popolare, quali: sant’Antonio, san Francesco, santa Lucia , santi Cosma e Damiano ecc a cui ognuno ha fatto qualche voto , che forse con la morte di Gesù c’entrano poco ma che sono stati comunque anch’essi annunciatori della Resurrezione e siccome il voto fatto in segreto si vuole adempiere pubblicamente, si approfitta della processione del sabato santo mattina per farlo. Angeli e Santi rappresentano comunque la Resurrezione che viene annunciata e il clima è festoso rispetto alle altre processioni.
In passato se qualcuno aveva fatto un voto e non aveva possibilità economiche, si recava alla chiesa del Giglio a chiedere in prestito il vestito per il proprio figlio e veniva scelto tra quelli donati alla chiesa dai devoti che già avevano adempiuto al voto.
Nei giorni antecedenti c’è tutto un fervore di preparativi poiché al sacro è sempre legato il profano: a chi mancano ancora le scarpe, a chi il diadema, a chi la parrucca per non parlare della parrucchiera con cui prendere accordi per l’acconciatura migliore e questo non solo oggi, anche in passato ci si teneva tanto, quando i parrucchieri ancora non c’erano e per fare i riccioli degli angeli alle bambine si avvolgevano ciocche di capelli, legandoli con un pezzetto di stoffa e così bisognava dormire tutta la notte e anche se qualche bimba non riusciva a dormire, la mattina seguente si scioglievano le ciocche e i bei riccioli inanellati erano pronti per sfilare e per fare la foto ricordo.
Oggigiorno alla processione si vedono vestiti bellissimi realizzati con stoffe preziose e costose che però mettono in ombra quella fede che pure c’è, ma la frenesia dell’apparire, "l'umano” sembra predominare sul “sacro” per cui quell’austerità della sera prima sembra sconfinare nel bello e nello spettacolare, in un clima quasi festoso.
Siccome, poi, la processione è fatta di bambini, non manca mai il venditore di palloncini, anzi quando si vede lui, vuol dire che la processione sta per arrivare.
Gli adulti che portano i bambini, poi, vanno sempre muniti di biscotti e bottigline d’acqua per ristorare i piccoli ma quando le bottigline di plastica ancora non c’erano e la processione passava, in ogni casa si preparava l’acqua per dissetare i bambini che avevano tanto da camminare.
Purtroppo a volte succede anche che nella settimana santa le condizioni atmosferiche siano spesso mutevoli , il cielo si rannuvola all’improvviso, si chiude minaccioso e tetro proprio come accadde in quei giorni di tanti secoli fa e scatenando tuoni e pioggia pare che si ribelli e che ancora pianga sulla scelleratezza umana che arrivò a crocifiggere Cristo. Può succedere che durante la processione incominci a piovere e allora si vedono i poveri bambini costretti a correre per ripararsi sotto ai portoni per cui una processione a volte viene interrotta e poi ripresa, e a volte addirittura costretta a ritirarsi.
IL SABATO SANTO SERA ha luogo l’ultima processione, la conclusiva. La statua dell’Addolorata dalla chiesa di san Francesco viene portata alla chiesa Madre, dove si trova la statua di Gesù Morto: è la Mamma che va a cercare il Figlio morto, che viene portato per antica tradizione dai pescatori . Non si sa perché proprio a loro sia stato concesso; lo avranno chiesto probabilmente ed ottenuto dalle autorità ecclesiastiche per chiedere protezione nei pericoli a cui il mare li sottoponeva ogni giorno.
In questa processione anche i Misteri e le persone che sfilano sono di numero inferiore alle altre due; essa si svolge nel silenzio e nella compostezza di quella del venerdì santo sera. Il Figlio Morto seguito dalla Madre, portata a spalla dai devoti, dopo aver toccato le quattro porte della città, si ritira alla chiesa del Giglio.
Durante le processioni vengono eseguiti dai fedeli e suonati dalla banda dei canti: Maria dolente, Pentimento e Pianto di Maria, i testi dei quali si attribuiscono al can. G. Aversario e per la composizione musicale al maestro Gennaro Caliendo, che è stato direttore della banda mondragonese per 28 anni di seguito, dal 1906 in poi. Altri canti furono importati dai PP. Passionisti durante le Missioni popolari come riferito da Padre Berardo Buonanno. Raffaele Fiore










giovedì 8 aprile 2021

LA SETTIMANA SANTA A MONDRAGONE

Una volta, la Settimana Santa, a Mondragone veniva vissuta come un tempo di tristezza e di lutto: il pensiero di quello che Gesù aveva sofferto era dominante e si avvertiva nell’aria; anche se contemporaneamente tutto veniva preparato per la festa di Pasqua non si rideva e non si scherzava, non si

facevano schiamazzi, tutto si faceva in maniera sommessa, era tempo di silenzio e meditazione; anche la radio fino agli anni ’60 non seguiva la normale programmazione ma trasmetteva in quei giorni solo musica sinfonica.
Erano giorni impegnativi, così come oggi, da dividere tra le processioni, le funzioni religiose , la preparazione dei dolci di rito per la Pasqua , i regali ecc.
Anche nel mangiare si rispettava la Settimana Santa, non si indugiava nel preparare pranzi né ricchi né elaborati ma si prediligevano, in segno di penitenza, pasti semplici e poveri, come i fagioli, le cicorie di campo o le spezzatelle, castagne secche che venivano lessate come i fagioli e mangiate in purezza oppure miste al riso.
In particolare nel giorno di Venerdì Santo non solo ci si asteneva dalla carne ma si mangiava in maniera molto frugale e in segno di lutto non si metteva né la tovaglia a tavola né si spazzava il pavimento.
I riti sacri erano davvero molto seguiti nel nostro paese ma c’è da dire che anche nel preparare le prelibatezze pasquali ci si impegnava tanto.
Generalmente nella mattina del Giovedì Santo si faceva il “Pane di Pasqua” e con esso il tortano, un ciambellone di pane con le uova incastonate sopra e le pigne per i bambini della famiglia e per i figliocci . La pigna consisteva in un rotolino di pasta di pane incrociato a x, a formare un fiocco, nel foro centrale veniva messo l’uovo, che cuocendo diventava sodo. Naturalmente si raccomandava ai bambini di non mangiare le pigne prima della benedizione o ne sarebbe uscito il verme.
Il Giovedì Santo pomeriggio si facevano i tagliolini all’uovo per fare le pastiere, per noi le pastie, termine dal suono semplice, evocativo di quella semplicità che la nostra pastiera ha rispetto a quella di grano ma che non ha nulla da invidiare ad essa per bontà, pur essendo quella di grano molto più elaborata. Le massaie mondragonesi, grandi esperte, avvezze all’uso del mattarello fin da piccole, facevano a gara a tirare le grandi sfoglie gialle, tonde e perfette come se fatte con il compasso, tanto sottili da sembrare quasi trasparenti e le mettevano ad asciugare; quando erano al punto giusto né troppo secche né troppo umide, le arrotolavano e le tagliavano in fili sottili, i cosiddetti tagliolini, che mettevano ad asciugare.
Il venerdì Santo a sera si cuocevano i tagliolini per far sì che avessero tutta la notte per raffreddarsi e si aggiungeva subito lo zucchero per far in modo che si sciogliesse bene e un po’ di sugna.
La mattina dopo si preparava la pasta frolla che facesse da contenitore ai tagliolini; chi non aveva molte uova al suo posto preparava la colla , che era fatta da acqua, zucchero e farina, che si spalmava sul fondo della tortiera e la pastiera non si attaccava. Poi si sbattevano le uova da versare nei tagliolini e se ne rompevano davvero tante, si contavano a vintane,cioè a ventine poiché le nostre pastiere sono molto ricche di uova, addirittura le nostre nonne dicevano che per ogni uovo di tagliolini, cioè per la quantità di tagliolini ottenuti con un uovo e circa un etto di farina si dovevano versare dentro ben 10 uova; oggi, con la rivisitazione della ricetta, resa più attuale e leggera, il numero di uova è diminuito e per ogni uovo di tagliolini si versano dentro 2/3 uova.
Si aggiungevano poi gli aromi: buccia di limone grattato, vaniglia , cannella e un po’ di liquore e frutta candita, una fogliolina augurale di palma benedetta al centro e sopra le ziarelle, ossia le striscioline di pasta tagliate con la rotella dentata e disposte sopra la pastiera a formare una grata.
Il nostro rustico pasquale era la pizza con la salsiccia, che aveva al suo interno la salsiccia della composta (Con il termine composta ci si riferisce alla salsiccia ma anche altre parti del maiale come soppressata, lingua ecc. conservata nei vasetti sotto la sugna o nell’olio), uova sbattute e formaggio pecorino a fette.
Da ogni cortile si spandeva per l’aria quel buon profumo ora di pane ora di pastiere ancora in forno, che andava a stuzzicare la memoria olfattiva, ricordando a tutti che la Pasqua era arrivata. Nella mattinata del Sabato Santo il sacerdote veniva a benedire tutto il ben di Dio preparato e solo allora i bambini potevano assaggiare le pigne ma questa seconda benedizione si faceva quando i rioni erano molto più piccoli di adesso e le case raggruppate nei cortili si potevano contare.
Anche oggigiorno la Settimana Santa vede i Mondragonesi molto impegnati: gli appuntamenti con le processioni, le funzioni religiose, i dolci rituali da preparare, i regali e così via; tutto va fatto, niente lasciato al caso, ogni cosa ha il suo perché, sia sacra che profana.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

mercoledì 7 aprile 2021

LA PASTIERA DI TAGLIOLINI.

Ecco a voi la ricetta della pastiera di tagliolini, definita dagli amici: “la sublime”, la “delicata pasquale”.
Per fare la nostra pastiera occorre fare i tagliolini a mano con uova preferibilmente “di casa” perché hanno un altro sapore; da noi si dice così per indicare uova di galline, allevate dal contadino, per intenderci, che ancora scorrazzano libere e felici in campagna, non le uova del supermercato. Qualcuno fa anche la pastiera con i capellini della Barilla ma il risultato non è lo stesso, vi assicuro. Fare i tagliolini a mano è facile perché oggi ci sono le macchinette per tirare la pasta e non è necessario fare la sfoglia a mano come un tempo.
Si inizia con l’impastare uova e farina, un uovo assorbe un po’ meno di 100 grammi di farina, dipende dalla grandezza dell’uovo. Ad ogni modo occorre fare un impasto sodo e compatto, non molle perché poi, quando lo si va a stendere tra i rulli della macchinetta, non si deve aggiungere più farina. Dall’impasto si otterranno circa 100 grammi di tagliolini. Si fa riposare l’impasto qualche ora, poi se ne passa un pezzetto alla volta nella macchinetta, ricavandone delle strisce, che vanno assottigliate dal numero 1 al numero 5, il penultimo della macchinetta, poi si mettono ad asciugare.
Per poter ritagliare i tagliolini con la macchinetta, la pasta non deve risultare troppo secca altrimenti si rompe, né troppo umida altrimenti i tagliolini si attaccherebbero fra di loro e avrebbero bisogno di farina, che invece non va più aggiunta, dovranno essere quasi asciutti e gialli come l’oro.
Una volta tagliati i tagliolini, si mettono a seccare qualche giorno ma anche di meno, appena secchi sono pronti.
Si cuociono,poi, in acqua bollente salata, non molta acqua, la quantità giusta perché una volta cotti, si lascia dentro quel poco di acqua che rimane, che serve a non far asciugare troppo la pastiera durante la cottura, che è lunga e lenta, circa un’ora a 180°.
Quando i tagliolini sono ancora bollenti vi si versa lo zucchero e si rigira con un mestolo per farlo sciogliere e poi si aggiungono gli aromi: buccia di limone grattato (a me piace il limone appena colto dalla pianta ma quando non è possibile, basta utilizzare limoni freschi e non trattati), vaniglia e un pizzico di cannella, non troppa per non scurire i tagliolini, pezzetti di frutta candita, un po’ di liquore a piacere, acqua di fior d’arancio o di millefiori a piacere e una noce di strutto o burro.
Quando si raffreddano i tagliolini, si aggiungono le uova sbattute.
Lo zucchero deve essere proporzionato alle uova che si andranno ad aggiungere, 50 grammi per ogni uovo.
Gli antichi dicevano che in ogni uovo di tagliolini, cioè in 100 grammi di tagliolini andavano aggiunte 10 uova; oggi, avendo un po’ rivisitato la ricetta perché troppo ricca di uova, se ne aggiungono 5.
Ricapitolando, in 100 grammi di tagliolini ancora bollenti si aggiungono 250 grammi di zucchero( 50 per uovo) e quando si raffreddano, 5 uova.
Con questa dose viene una pastierina di medie dimensioni, la dose ovviamente si può raddoppiare, triplicare ecc.
A chi piace un po’ più dolce può aggiungere un po’ di zucchero o qualche uovo in più o in meno ma orientativamente queste sono le dosi.
Si stende, poi, la pasta frolla, preparata in anticipo, su cui non mi dilungo perché penso che tutti conoscano la ricetta, si fodera lo stampo, vi si versa il ripieno e si decora con le striscioline di frolla, le “ziarelle”, dopo di che va in forno.
Ricordo che mia madre faceva una pastiera molto semplice, senza canditi, senza liquore , solo profumo di limone, di cannella e vaniglia, era dolce ma non in maniera esagerata, delicata e innocua; c’ era proprio, nel gusto, una leggerezza e una semplicità, senza frode e senza inganni, la si poteva dar da mangiare a un bambino piccolo, appena svezzato, senza recargli alcun danno; era una proprio una “santa” pastiera, anche se la qualità è impropria per un dolce, anzi una “santarella”; ad essa sono legati i sapori della mia infanzia, che non sono più riuscita a ritrovare proprio uguali, pur mangiando la pastiera ogni anno.
Spero che proverete in molti a fare la nostra pastiera, che non resti solo patrimonio culturale di Mondragone ma del mondo.
Grazie a Pina Di Matteo
Potrebbe essere un'immagine raffigurante cibo e spazio al chiuso

LA SETTIMANA SANTA A MONDRAGONE


LA SETTIMANA SANTA A MONDRAGONE Il giovedì santo iniziava il triduo della Passione. Era il giorno in cui il sacerdote andava a benedire le case e al sagrestano che lo accompagnava o ai chierichetti le massaie davano in cambio non soldi in offerta ma uova, che avevano in abbondanza e che mettevano da parte per tutta la Quaresima per fare le pastiere.
Le funzioni religiose iniziavano una volta come oggi con la Messa “In cena Domini” in cui si ricorda l’ultima cena di Gesù con gli Apostoli, con il rito della lavanda dei piedi e l’istituzione dell’Eucarestia: al termine della Messa, il sacerdote portava l’Eucarestia all’altare della Reposizione, dove cioè veniva riposta e conservata.
Esso viene detto, secondo la tradizione, “Sepolcro”, che dal punto di vista etimologico significa custodia di un corpo senza vita, anche se Gesù la sera del giovedì santo non era ancora morto, quindi, è come se la pietà popolare in quel giorno preparasse il sepolcro a Cristo, un sepolcro degno di Lui, dell’adorazione dei fedeli, adorno di piante e fiori, profumato.
Secondo una tradizione antica e ancora molto viva, per adornare l’altare della Reposizione i fedeli preparavano piattini e ciotole con germogli di grano, teneri e sottili, dal colore giallino.
All’incirca tre settimane prima si mettevano a germogliare i semi di grano su dell’ovatta bagnata, con l’accortezza di farli crescere al buio dentro un mobile perché crescessero di un colore giallino chiaro, spruzzandoli a giorni alterni con dell’acqua. Venivano poi adornati , prima di portarli in chiesa, con nastri o carta crespa e con viole , fresie,bocche di leone ed altri tipi di fiori.
Le piantine venivano offerte con spontaneità dal popolo, quale dono umile e sincero con cui si voleva rendere omaggio a Cristo. Esse ricordano oggi come un tempo il miracolo della morte e Risurrezione di Gesù ed è chiaro il riferimento alle parole del Vangelo “In verità in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo , se invece muore produce molto frutto” ( Gv 12, 20-23).
I germogli hanno un chiaro significato augurale e un loro preciso simbolismo: come dal seme lasciato a macerare al buio rinasce la vita, così rinasce la vita di Gesù, con la Resurrezione, dopo essere passata attraverso le tenebre della morte.
Dopo la Messa aveva inizio la visita ai Sepolcri allestiti in tutte le chiese, che rimanevano aperte fino a notte fonda. Era consueto fare lo struscio per andare in chiesa cioè fare la passeggiata nel piacevole clima delle serate primaverili: famiglie intere si riversavano per strada, compresi i fidanzati, che una volta camminavano scortati e guardati a vista da tutta la famiglia.
L’origine di tale espressione risale all’epoca settecentesca quando a Napoli Ferdinando I di Borbone emanò un bando in cui si vietava a via Toledo la circolazione di carrozze, carri e cavalli perché la via era presa d’assalto dalla popolazione proprio per adempiere a tale usanza. La calca e le lunghe code di gente in attesa per entrare in chiesa inducevano tutti a procedere a un passo talmente lento che si procedeva strisciando i piedi per terra, provocando un rumore caratteristico detto “struscio”.
Altri invece associano lo “struscio”alle persone che entrando e uscendo dalle chiese indossavano abiti nuovi per l’occasione e le stoffe ancora rigide si urtavano strofinandosi fra di loro. Per l’occasione, infatti, le persone abbienti si facevano confezionare abiti nuovi da indossare facendo sfoggio di eleganza al contrario del messaggio di umiliazione e penitenza che la Passione e Morte di Gesù voleva trasmettere a tutti.
A Mondragone , anticamente, il Giovedì Santo si recitava una preghiera, frutto della devozione popolare:
Oggi è gioverì santo,scegne Maria da ri munn amienti(parola non identificata, potrebbe significare dagli alti monti)
scegn chiagnenne e suspirenne
ricenn : -Ru figliu mio è morto
dov’è la croce che sei morto?
Subbuluco glorioso di regno e divinoso (divino)
‘nterra ce stanno le 24 ore
mentre ru visitammo, tutto de lacrime ru bagnammo
de lacreme e de dulore , ricimmo n’atto de dulore
Dopo il Giovedì Santo le campane non potevano più suonare e venivano legate perché era tempo di penitenza e di preghiera; al loro posto si usava la traccola, uno strumento di legno a cui si attaccavano delle maniglie mobili di ferro per produrre rumore; a mezzogiorno, per le strade del paese un ragazzino passava agitando lo strumento, che ancora oggi viene utilizzato ma solo per le processioni pasquali ormai, facendo sentire il caratteristico rumore.
Nel giorno del Venerdì Santo, poi, predominava, ieri come oggi, il raccoglimento, la meditazione. L’oscurità nelle chiese era totale, tutto era silenzio e riflessione nell’attesa del grande evento della Resurrezione.
Da non perdere per i fedeli c’erano, come sono rimaste immutate tutt’oggi, le due processioni della mattina e della sera e le funzioni religiose del pomeriggio.
Nel giorno del Sabato Santo, poi, nel clima di attesa, l’impegno era diviso tra le processioni e la preparazione delle pastiere. In questo giorno si scioglievano le campane verso mezzogiorno e tutti, ovunque si trovassero, si mettevano faccia a terra.


domenica 4 aprile 2021

LA DOMENICA DELLE PALME

LA DOMENICA DELLE PALME a Mondragone, era una delle festività più attese di tutto l’anno soprattutto dai bambini, che portavano la “palma” a padrini e madrine, un gesto simbolico e rituale, che serviva a ribadire e rafforzare la stima e il rispetto tra le famiglie. E’ rimasta nella memoria popolare l’immagine di quei bambini con il vestito della festa, che insieme alla palma portavano in regalo la mozzarella fatta confezionare per l’occasione in una specie di contenitore fatto di foglie palustri intrecciate, larghe e piatte in cui si manteneva fresca per diversi giorni. Ad ogni modo anche i padrini e le madrine non erano da meno, si impegnavano con cura e meticolosità nel preparare il dono per i figliocci, che di solito poteva consistere in qualche capo di abbigliamento ma non solo; anche nelle ristrettezze, non si badava a spese, pur di fare bella figura.

Aspettavano le Palme soprattutto i ragazzini, i maschietti , che nel portare la “palma” facevano il giro di tutti i parenti perché sapevano di ricevere in cambio la “mazzetta” o mancia, poche lire ma che messe insieme servivano a comprare qualche dolciume o qualche giocattolino: erano tempi in cui i bambini non disponevano di soldi e le Palme erano un’ occasione sicura di un simpatico anche se piccolo guadagno.
In effetti il gesto del “dare la palma” aveva in sé ed ha ancora oggi un simbolismo molto più profondo, che tutti avvertivano, quello della pace e, a volte, si aspettava proprio questo giorno per sanare liti e discordie, compiendo quel gesto simbolico che aveva la forza di vincere l’orgoglio e sotterrare inutili rancori nelle famiglie e tra gli amici.
Il sabato pomeriggio, giorno antecedente alla Domenica delle Palme, il padre o qualche altro membro della famiglia tornava dalla campagna con fasci di rami d’ulivo da portare in chiesa a benedire.
I rami benedetti si portavano poi a casa per donarli a parenti e amici con lo scambio degli auguri di pace, quelli che avanzavano si conservavano fino all’anno successivo, spesso si mettevano vicino al Crocifisso, a capo al letto.
Era tradizione che il fidanzato portasse la “palma” alla fidanzata, la quale , a sua volta, la mandava ai futuri suoceri, ricevendo in cambio un regalo che poteva anche essere in oro.
La “palma” veniva portata e viene ancora portata al cimitero, segno di quella pace che si vuole continuare a scambiare con i propri cari anche oltre la morte.
Era intingendo un rametto di ulivo nell’acqua santa che il capofamiglia benediceva la famiglia nel giorno di Pasqua e una fogliolina di ulivo veniva messa anche al centro della pastiera di tagliolini, prima di entrare in forno, in segno augurale.
Si usava, inoltre, mangiare, in questo giorno, ceci e tagliatelle fatte in casa e la seppia fritta come secondo piatto.
Anche in occasione delle Palme, nascevano canti d’amore cosiddetti “a dispietto”( ne viene qui riportato uno, pervenuto fino a noi):

Ecco ca mo venen’ ri iuorni santi
Pe dà la Palma a chi me rà turmienti
E io te la voglio rà piccula e galante
Pecché ogni galantuomo me trementa
Tecchete a palma si vuò fa la pace
Tecchete a spada si vuò fa la guerra
Si pure ri Turchi in pace stanno
Io cu ru ninnu mio stongo in guerra!

Nessuna descrizione della foto disponibile.

venerdì 2 aprile 2021

RI QUATT BRILLANT

RI QUATT BRILLANT

“Quattro brillanti giorni quaranta” recita un proverbio della tradizione contadina e sta a significare che se piove il 4 Aprile, secondo alcuni, o se piove per i primi quattro giorni di aprile, secondo altri, pioverà per 40 giorni. Con “quattro brillanti”ci si riferisce ai primi quattro giorni di Aprile, ma in realtà si tratta di una traduzione errata di Aprilanti. I nostri antenati, quando non esistevano le previsioni del tempo, si affidavano alla saggezza popolare per conoscere il tempo con un certo anticipo. Questo proverbio, in effetti, non ha nessun fondamento scientifico, tuttavia non si può negare che Aprile è un mese imprevedibile. Anche la scienza ha provato a capire se c’è del vero nella saggezza popolare, per questo alcuni studiosi hanno analizzato l’archivio delle precipitazioni piovose dell’Osservatorio Meteorologico dell’università di Napoli Federico II , funzionante dal 1872 e dall’analisi effettuata risulta che gli anni in cui è piovuto per i primi giorni di Aprile, seguiti da più di 16 giorni piovosi fino al 15 maggio costituiscono il 70% dei casi.
Il risultato suggerisce che, in fondo, i proverbi tramandati hanno un fondo di verità, se interpretati non alla lettera ma in modo più ampio; essi vanno intesi come il risultato di quelle irregolarità climatiche osservate su lunghi periodi.
Casualità o tradizione? Osserviamo quello che succede in questi giorni…. Naturalmente dopo esserci aggiornati sul corona virus, che ci preoccupa molto di più.

Nessuna descrizione della foto disponibile.