Compa Fraustin ( Fraustin credo sia il diminutivo di Fausto) aveva un figlio un po’ ritardato; sia la moglie che il marito tenevano tanto a quel figlio che lo mandarono a studiare in seminario. Passarono molti anni ma il ragazzo non riusciva a prendere la Messa, date le sue ridotte capacità intellettive. Alla fine i suoi superiori per toglierselo di torno, si decisero ad ordinarlo sacerdote. Quando tornò a Mondragone, proprio in mezzo alla piazza, decise di tenere un discorso e incominciò a dire: - Popolo mio, ma quando mai, ma quando mai….! E alzava le braccia al cielo, si infervorava tutto e quelli che si trovavano a passare, si fermavano e dicevano: Uh, ma chiglij è ru figlij de compa Fraustin, verimm c’adda ricje. E lui, di nuovo: - Popolo, popolo mio…..! e la gente si faceva sempre più numerosa e, a bocca aperta, aspettava la continuazione del discorso. Intanto anche compa Fraustin, tornando dalla campagna con la zappa in spalla, passò per la piazza e vedendo tante persone, andò a sentire: - Popolo mio- ripeteva il ragazzo- ma quando mai, ma quando mai! Senza riuscire ad aggiungere altro. Il padre si fece largo tra la folla e preso il figlio per il braccio, disse: - Ma quann mai tu e fatt na cosa bbona? Iammucenn a casa ià , vien a zappà cu me!
Il blog di Caterina Di Maio dedicato alle tradizioni locali, agli usi, costumi e racconti di Mondragone CE, curato e pubblicato da Esterina La Torre
venerdì 25 giugno 2021
RU FIGLIJ DE COMPA FRAUSTIN

venerdì 18 giugno 2021
MARITU MIJ, NIENT A ME E NIENT A TE

martedì 15 giugno 2021
Devozione a S. Antonio
A Mondragone sant’Antonio è stato sempre molto amato tanto da diventare compatrono della città insieme alla Madonna Incaldana.
La popolazione agricola riponeva grande affidamento nell’intercessione del santo per ottenere grazie di ogni tipo.
Alcune preghiere a lui dedicate sono nate dalla devozione popolare e qualcuna è rimasta ancora nella memoria delle persone. Se ne riporta qualcuna:
Sant’Antonio, giglio giocondo, è nominato per tutto il mondo, chi lo tiene per suo avvocato, da sant’Antonio sarà aiutato
Alla processione in onore del Santo si cantava:
Sant’Antoniu vergine e sacrat/ la curona de Gesù la puorti ‘ncap / te l’ha missa la Vergine Maria/ facce la grazia Sant’Antoniu mio
Un’ altra preghiera per ottenere grazie veniva recitata e ripetuta sui grani della Corona , come se fosse un Rosario:
Sant’Antò cammina tu/lengua santa parla tu/ 13 grazie fai al giorno/ fammene una che m’abbisogna.
Quando qualcuno aveva qualche problema chiedeva al Santo di intercedere e in particolare alla “lingua santa” di parlare in suo favore al Signore.
Era tale la devozione al Santo qui a Mondragone che addirittura nel 1928 il sacerdote don Francesco Gravano, chiamato familiarmente da tutti don Ciccio, molto devoto al Santo, nella chiesa di san Francesco fece erigere un trono marmoreo in suo onore proprio dove ora si trova l’altare maggiore, ma nel 1946, al ritorno dei monaci dopo la guerra, non sembrò giusto che il Crocifisso stesse in fondo alla chiesa e il Santo sull’altare maggiore, allora sistemarono il Crocifisso al centro e sant’ Antonio da un lato e san Francesco dall’altro. In seguito spostarono i due santi nelle nicchie laterali definitivamente, dove si trovano attualmente. La statua lignea del Santo, che si venera oggigiorno nella chiesa di San Francesco, pregevole opera dello scultore ortiseiano Luigi Santifaller, è stata realizzata verso la metà del ‘900 ed ha sostituito l’antico simulacro in cartapesta, già venerato dai fedeli. Il Santo, che è quasi sempre raffigurato con il saio, qui da noi è rappresentato con saio, cotta e stola sacerdotale; regge con il braccio destro Gesù Bambino e nella sinistra ha il giglio, simbolo della purezza e trasparenza della vita, rispettando la classica iconografia del Santo.
Che i Mondragonesi venerino molto sant’Antonio lo si capisce da tante cose: il 31 maggio verso mezzogiorno avveniva, fino a pochi anni fa, la cosiddetta “calata di sant’Antonio”: i fedeli, poco prima di mezzogiorno, si radunavano in chiesa e tra canti e preghiere assistevano all’intronizzazione del Santo. La sera, poi, iniziava la Tredicina. Nei giorni della Tredicina, tutt’oggi c’è un andirivieni di fedeli di altre parrocchie che vengono a pregare il Santo. Nel giorno della sua festa, poi, si celebrano le Sante Messe come per la domenica, con la chiesa gremita di fedeli. In questo giorno viene benedetto e distribuito ai fedeli il “pane di Sant’Antonio”, le classiche pagnottelle che ognuno porta a casa , facendone mangiare un pezzetto “per devozione” ai propri familiari, dopo aver recitato la preghiera C’è anche l’usanza di far indossare ai bambini l’abitino francescano per ringraziare il Santo della protezione ricevuta e farla conoscere agli altri. Nel giorno della sua festa, poi, Sant’Antonio viene portato in processione, nelle strade principali di tutti i rioni proprio perché è il Santo di tutti i Mondragonesi. Le famiglie si danno da fare ad innaffiare le strade dove deve passare la processione per rendere così più agevole il cammino delle persone che accompagnano il Santo per tutto il paese. E’ solo alla processione di Sant’Antonio che si sparano i botti in ogni strada e ci si tiene davvero tanto, in ogni rione i devoti vanno di casa in casa a chiedere i soldi per tale scopo. E così, tra gli spari assordanti, le coperte preziose che sventolano ai balconi, la banda che suona, la recita delle decine del Rosario e i canti dei devoti, il Santo passa e benedice ogni punto della città ed è in questo modo che il popolo mondragonese esprime la devozione autentica e il sincero amore per il Santo dei miracoli, a cui tutti si rivolgono con fiducia e speranza.

lunedì 14 giugno 2021
IL RESPONSORIO DI SANT’ANTONIO

PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI

domenica 13 giugno 2021
L’ORAZIONE DI SANT’ANTONIO
A Mondragone si recitava, in passato, un’orazione, riferita a un episodio della vita di S. Antonio, in cui si racconta che egli riuscì a salvare suo padre, falsamente accusato. Mentre Antonio si trovava a Padova, nella città di Lisbona un giovane aveva ucciso, di notte, un suo nemico e lo aveva seppellito nel giardino del padre di Antonio. Ritrovato il cadavere, venne accusato il padrone del giardino. Costui cercò di dimostrare la sua innocenza ma non ci riuscì. Il figlio, saputo ciò, mentre predicava a Padova, con il dono della bilocazione si ritrovò a Lisbona e si presentò al giudice, dichiarando l’innocenza del genitore, ma questi non volle credergli. Il Santo, allora, fece portare in tribunale il cadavere dell’ucciso e, tra lo spavento dei presenti, lo richiamò in vita e gli domandò: - E’ stato mio padre a ucciderti? Il risuscitato, mettendosi a sedere sul lettino, rispose: - No, non è stato tuo padre! e ricadde supino, ritornando cadavere. Allora il giudice, convinto dell’innocenza dell’uomo, lo lasciò andare.
A Mondragone l’aneddoto così si recitava:
- Sant’Antonio predicava/ jeva gl’angiulo e ri parlava:
“E vuie state a predicà e a vostro padre ru stanno a ‘mpiccà”/ Sant’Antonio fa riverenza/ a ru popolo cerca licenza/pe putersi arripusà/ ‘nsino a Lisbona aveva arrivà/ Poi si mise a camminare/ La giustizia fa fermà/ Taci taci la giustizia! Pecché stu viecchio adda ì a la morte?
Son nseminate le testimonie/Chistu viecchio un uomo ha ammazzato/Questo vecchio s’adda ‘mpiccà/ “E nuie fede a Dio tenimmo/cu ru muorto ve porto a parlà”/Santo Padre, vuie che dite/ son tre giorni che è seppellito/ In nome di Gesù Sacramentato (da) morte ti sia risuscitato/ parla e dì la verità/si stu viecchio t’a ammazzato/ Chistu viecchiu nun è stato / ma chi morte a me m’a rato/ Dio ru pozza perdunà.
Grazie a Clara Ricciardone e alla sua cara nonna che ci hanno tramandato questa bella orazione popolare
sabato 12 giugno 2021
VOTT PAN A CHI TE MEN PRET!
VOTT PAN A CHI TE MEN PRET!
E’ un detto che deriva da un’antica fiaba mondragonese e che equivale a dire: - Fa’ il bene a chi ti fa il male! Facile a dirsi ma difficile a farsi perché ricevere il male, giustamente o ingiustamente, ci fa soffrire ma se prendiamo la decisione di rispondere al male con il bene, non perché l’altra persona lo meriti ma proprio per una decisione presa e non più cambiata di rimanere nel bene, che è l’unica strada giusta da percorrere, succederà che prima o poi l’altra persona capirà e forse la smetterà e comincerà a comportarsi diversamente ed avverranno quei piccoli “miracoli” per così dire “umani” visto siamo noi stessi a farli e che ci permetteranno di sbloccare situazioni, saltare ostacoli, che parevano insormontabili.
giovedì 10 giugno 2021
RU SETACCI(O) DA CUMMAR

martedì 8 giugno 2021
NUN MANC MAI CHE TESS!
NUN MANC MAI CHE TESS! (Non manca mai il da fare!)
A me, questo detto, devo dire, mi calza proprio a pennello perché io il da fare se non c’è, me lo invento e me lo creo di continuo, visto che mi piace fare di tutto e, ora mi appassiono per una cosa ora per un’altra, sicché inizio tanti progetti che non sempre riesco a portare a termine e, a volte, vado in tilt, come si dice, e allora chi mi sta intorno mi dice di darmi una calmata e di riposarmi, visto che non ho neanche tanta forza ed è vero, considerando gli acciacchi di vecchia data a cui si aggiungono quelli sopraggiunti con la vecchiaia, che certe volte mi costringono ad una forzata inattività e allora sì che do ragione a chi mi consiglia per il mio bene. E pensare che a chi mi vede e non mi conosce posso sembrare un’acqua cheta, una che sta più da là che da qua. Ma basta che mi ripiglio un po’ e incomincio a scalpitare come un cavallo e a mettere in cantiere questo e quello e mi ritrovo a pensare che poi, tutto sommato, non c’è mica bisogno di riposare tanto perché poi quando andrò al cimitero avrò tanto tempo per riposarmi. E allora ricomincio a darmi da fare perché , in fondo, di tempo non ce n’è mica poi tanto e io mica ho sette vite come i gatti per realizzare tutti i miei progetti….
Tra una cosa e l’altra, poi, mi siedo al computer per scrivere i racconti della nostra cultura popolare , anche quella mi piace tanto perché la trovo genuina e vera come vere sono le storie della vita che racconta.
lunedì 7 giugno 2021
PUOZZI SCULA’
PUOZZI SCULA’
Ho sentito diverse volte quest’espressione nel nostro dialetto e pur intuendone il senso negativo, non ne avevo mai compreso esattamente il significato fino a quando, anni fa, trovandomi a Ischia, andai con mia figlia e mia nipote a visitare il Castello Aragonese, che sorge su un isolotto di roccia ed è collegato all’isola stessa da un ponte di pietra. Il Castello è molto grande e ci vogliono due o tre ore per visitarlo perché c’è tanto da vedere, in passato costituiva una vera e propria cittadella. D’estate, per la festa di sant’Anna, di sera, viene tutto illuminato per simulare l’incendio del castello e contemporaneamente, in mare, sfilano le barche allegoriche, di cui verrà premiata la più bella; segue, infine uno straordinario spettacolo di fuochi d’artificio. Il Castello fu costruito nel 474 a. C. ed è appartenuto ai diversi popoli dominatori che si sono succeduti. Fu sotto gli Angioini che si iniziò a costruire il ponte per collegare il Castello al resto dell’isola. Sul Castello vi sono diverse chiese e cattedrali. Ad un certo punto, durante la visita, siamo arrivate a visitare la chiesa dell’Immacolata, a cui era annesso il convento delle Clarisse. Sotto la chiesa si trovava il cimitero delle monache o “Putridarium”, ancora oggi visitabile, dove, per mancanza di spazio, i cadaveri delle monache, anziché essere interrati, venivano lasciati fino a decomporsi. Si componeva di una serie di sedili in pietra, sui quali venivano posti, in posizione seduta, i corpi delle defunte. Ogni sedile era dotato di un ampio foro, un colatoio, nel quale potevano defluire i liquidi corporei e i tessuti in decomposizione. Il processo ovviamente non era veloce e si concludeva solo quando rimanevano le ossa delle defunte, che potevano essere pulite e raccolte in un ossario. Le monache viventi dovevano recarsi ogni giorno a visitare le consorelle in decomposizione per pregare e meditare sulla caducità della vita terrena e sulla morte.
Immagino il supplizio e la tortura a cui erano sottoposte le povere suore, che dovevano adempiere al proprio dovere.
Quest’usanza scomparve del tutto verso gli inizi del 1900. Il cimitero delle Clarisse fu, però, fatto chiudere già nel 1810 assieme al convento e ad altre strutture religiose, in seguito ad un decreto emanato da Gioacchino Murat, re di Napoli, sotto Napoleone, volto a sopprimere gli ordini religiosi e a impadronirsi delle loro ingenti ricchezze.
Comunque, tornando all’espressione, mi chiedo se quelli che la usano si rendono conto di quello che dicono, forse se ne capissero il vero significato, non la userebbero più.
CACCIA E PESCA: N’APPRUMETT!
CACCIA E PESCA: N’APPRUMETT!
Si dice così a Mondragone per ricordare ai cacciatori e ai pescatori che non possono promettere niente di ciò che cacceranno o pescheranno, prima di averlo preso davvero.
Un cacciatore, un giorno, riuscì a catturare una lepre, la portò a casa e la nascose in una stalla adiacente alla casa, con le zampette legate, senza dir niente alla moglie. Il giorno dopo, per vantarsi con lei di essere un cacciatore infallibile, si mise il fucile in spalla e disse: - Mò vac a caccia, staser ce mangiamm a lepr a cacciator! La moglie rispose:- Aé, è na parol! Ma comm fai a ess accussì sicur, si n’acchiapp prim? Ma nun se ricje “Caccia e pesca n‘apprumett”? E lui: - No no, so sicur, me lu sent proprio! E se ne andò. Quando tornò, si recò nella stalla per sparare alla lepre, per dimostrare alla moglie che l’ aveva catturata, andando a caccia; le slegò una zampina per farla stare ritta in piedi e l’apostrofò,dicendo: - LEPR LE’! ma la lepre, appena si rimise in equilibrio, cominciò a saltellare sulle zampette posteriori, facendo alzare una nuvola di polvere che andò in faccia all’uomo, impedendogli di prendere la mira. E in un baleno scappò, dando una bella lezione all’ "infallibile" cacciatore e confermando la veridicità del detto.
Grazie alla Signora Clara Ricciardone
sabato 5 giugno 2021
RI CCHIU’ BEGLI
venerdì 4 giugno 2021
LE SCORZE DEI LUPINI
Un giovane, che apparteneva ad una famiglia piuttosto povera, era sempre scontento di quello che aveva e che i suoi gli mettevano a disposizione e imprecava spesso contro la sorte che non lo aveva fatto nascere ricco.
Nella civiltà contadina solitamente tutto si imputava alla sorte o fortuna, “la ciorta”, come veniva chiamata: le malattie, la povertà, le disgrazie ecc e questo comportava un atteggiamento diffuso di rassegnazione e di vittimismo.
Un giorno mentre camminava in mezzo alla fiera ( la fiera di San Bartolomeo) che un tempo si svolgeva a Corso Umberto ossia “mmiez a ru Gigli(o), vide la bancarella del “torronaro” che non mancava mai per l’occasione e gli venne voglia di comprare qualcosa ma aveva solo un soldo cioè 5 centesimi e per comprare il torrone ci volevano almeno 2 soldi . Allora si accontentò di comprare un cartoccio di lupini e se li andava mangiando, camminando senza fretta, gettando le bucce all’indietro e borbottando contro la malasorte e diceva: - Gl’ati se mangiano lu turron e io m’aggia accuntentà de ri lupin! Girandosi si accorse che un ragazzo dietro di lui raccoglieva le bucce e le mangiava, tutto contento. Riflettendoci, pensò: - Uh, Maronn, e ij che me lamentav de ri lupin, stu vuaglion se mangia le scorz e è pur cuntient! Nun me aggia lamentà cchiù, anz voglio ringrazia ru Patatern pe chell che me ra! Se ricie buon 'Nu chiagn trist che ven peggio!

mercoledì 2 giugno 2021
I RITI DELL’ASCENSIONE
I RITI DELL’ASCENSIONE: L’ ACQUA DI ROSE E IL RISO CON IL LATTE